RACCONTO – Yantra

RACCONTO – Yantra

– Qua può ammirare uno splendido iraniano antico con il tradizionale medaglione, Toranj. 

– Molto bello.

– Provi a toccarlo, non lo trova morbidissimo?

– Sì, molto morbido. 

– Sa, c’è lana e lana. Questa è pregiata. È ottenuta con il taglio a molla, che assicura la qualità migliore e inoltre è kork. 

– Kork?

– Sì, è la parte più morbida, dal collo della pecora. 

– Ah, capisco. 

– Oh, non la vedo ancora soddisfatto, forse cercava qualcosa di ancora più pregiato. Venga, le faccio vedere… Questo tappeto di Kashan contiene fili di seta. Non le propongo uno di tutta seta, perché di solito si usano solo come arazzi. A meno che… non le ho chiesto, in effetti, che uso vuole farne, magari posso aiutarla a scegliere. 

– Veramente, non saprei, io… vorrei vedere e farmi ispirare…

– Ah capisco.

– È che è un regalo per mia moglie. 

– Oh, in tal caso non è meglio che lo veda anche la Signora?

– Me ne aveva mostrato uno che le piaceva molto, vedo se trovo qualcosa di simile.

– Benissimo, potrebbe dirmi, sempre se le ricorda, le fantasie, i colori. Anche se ha un ricordo vago, posso capire. Vede i tappeti sono tanti, ma i motivi più tradizionali si riconoscono, mi bastano anche solo due dettagli per… 

Non lo stava più ascoltando. La voce del venditore si allontanava echeggiando in un rimbombo che deformava le parole. Era stato il rosso carminio che emergeva da un enorme intreccio ambrato a distrarlo. 

– Ah questo è bellissimo, la capisco, non si può non fermarsi a contemplarlo. Mi spiace, però, non posso venderglielo, sa… è un pezzo da collezione.

Il venditore si diffuse in un monologo che partiva dalla storia dell’Antica Persia. Le sue parole si vaporizzavano nell’aria allo stesso modo in cui i pensieri si perdevano per sempre nella rete di ambra e carminio. Quel rosso sembrava bloccato. Le decorazioni lo contenevano, come graziose fanciulle che, con finta aria sorridente, si sforzano di nascondere e frenare un toro dietro di loro. Se solo avessero sciolto i loro nodi, se solo avessero allargato le loro trame, allora quel rosso sarebbe traboccato, portando fuori tutta l’energia del centro. La spinta, la causa, l’origine, la spiegazione di tutto era in quel centro, lo sentiva. 

La risposta era lì, in un nucleo ben protetto, quasi impossibile da raggiungere anche solo con lo sguardo. 

Il rosso non era altro che l’emanazione di quel nucleo, una forza centrifuga trattenuta nella sua irradiazione. Si sentì travolto dai colori. La potenza rossa lo spingeva indietro, ma l’ambra lo ricatturava, trascinandolo nelle reti delle fanciulle, che sembravano aver deciso di mostrargli il toro nascosto. I ghirigori leziosi si trasformarono in una via dorata che invitava al cammino. I fili di seta, ondeggiando, gli carezzavano le spalle come per rassicurarlo: «non aver paura del fuoco, non ti brucerai».

I raggi incandescenti, come lo avessero riconosciuto, aprirono uno spiraglio. Vide un grande cerchio rotante e un bagliore intenso che emanava dalla sua profondità. Si sentì avanzare senza riconoscersi una piena volontà. Era ormai dentro, la mente non opponeva nessuna resistenza né si eccitava con alcuna curiosità. I pensieri erano come liquefatti, fusi nel passaggio attraverso il fuoco.

Si stava dissolvendo. Non sentiva più il corpo, non sentiva più la mente, ma sentiva.

Una sorta di magnetismo lo attraeva verso il centro. Era come se avesse trovato la via del ritorno. Se tutto ciò che scaturiva da quella fonte era diffuso a senso unico verso l’esterno, se da quella fonte scaturiva tutto, allora lui era trascinato nell’unica corrente contraria. Senza alcuno sforzo, stava tornando alla base. 

Infiltrandosi nell’alone più interno del bagliore, si trovò in un nuovo conflitto. L’irradiazione del nucleo era di una densità tale da non lasciare spazio per la singolarità. La pienezza della fonte non tollerava un’area di coscienza individuale. Non era sufficiente aver abbandonato corpo e pensieri, quel suo “sentirsi”, quel suo essere un “Io” occupava una superficie troppo estesa per poter penetrare quel centro. Respinto e attratto allo stesso tempo, capì che non poteva far altro che cedere, pena un’espulsione violenta e improvvisa da quello stato di grazia. Così intuiva: era uno stato di grazia. Non era comprensibile né intellegibile, però lo sentiva e lo viveva. 

Non aveva via d’uscita: doveva rinunciare a quel “sentire”. Doveva. Per non cedere e tornare nelle correnti ordinarie. O per cedere completamente e perdersi in quel bagliore.

Decise che in fondo non aveva niente da perdere.

Sentì la sua coscienza restringersi, come chi si stringe nelle spalle per passare attraverso un anfratto. Più si rimpiccioliva, più la velocità aumentava. Doveva essere proprio al cuore del bagliore quando la sua coscienza, ridotta oramai a un puntino vago e lontano, avvertì un’espansione sconfinata, un barlume di eternità spaziale, per poi svanire completamente. 

– Signore, ehm, attenzione, tutto bene? – il venditore gli aveva poggiato la mano sulla spalla vedendo che cedeva nella postura piegando le ginocchia. Non sembrava aver notato affatto il suo calo di attenzione. Dovevano essere passati solo pochissimi minuti, forse secondi.

– Oh, sì, sì, mi scusi, ho avuto un crampo – rispose con la prima cosa che gli venne in mente. 

– Ah ok, bene, ecco le stavo dicendo che rispetto al mito del tappeto di Cosroe, in cui i motivi sono più floreali e faunistici, qui si ritorna alle origini geometriche che evidentemente costituivano il fondamento di quest’arte dalla Mongolia all’Iran…