RACCONTO – Dharanā

RACCONTO – Dharanā

Un passo dietro l’altro, fidandosi solo della sensazione sotto il piede, sotto la scarpa. Almeno non è a piedi nudi. Un passo dopo l’altro, lentamente per non sbagliare. La testa bassa e le mani tenute alte, a proteggere il viso e la testa. In teoria tutto il passaggio dovrebbe mantenere la stessa altezza, ma sempre meglio non fidarsi troppo dei conti riportati. Un passo dopo l’altro senza mai sbilanciarsi, perché a sinistra c’è il muro, ma a destra si finisce nell’acqua e in quelle acque c’è pieno di ratti, potresti essere attaccato in pochi secondi.

Occorre camminare lenti, respirare piano, mantenere l’attenzione e la calma, perché se capita un topo sotto i piedi, non si può saltare né fare rumore.

La fortuna è che il suo compagno cammina davanti a lui, è già un punto di vantaggio. Non lo sente e non lo vede, ma sa che c’è. Si sono allenati molto nella camminata silenziosa, mantenendo la concentrazione e portando il respiro a non emettere il minimo suono. Con il corpo silenzioso, si possono udire meglio i rumori esterni per capire eventualmente quando fermarsi. Quando hanno padroneggiato il corpo e imparato a tenere l’attenzione della mente, hanno aggiunto gli occhi chiusi e la percezione tattile.

Se ti eserciti con gli occhi chiusi, l’ambiente intorno non conta più. Se acuisci il tatto, puoi cogliere la vicinanza delle cose anche senza vederle.

È un’impresa assurda, pensa. Forse era meglio scegliere l’altro gruppo. Loro hanno progettato una fuga forse ancora più disperata, più grossolana nei modi, ma chissà, magari più efficace. Lui ha scelto di stare con il monaco, come veniva chiamato in cella. Il monaco gli aveva proposto un piano architettato intelligentemente, ma per il quale serviva una grande preparazione psico-fisica. Ci sto, gli aveva risposto alla fine. E aveva accettato di allenarsi sotto la sua guida. 

Sono passati quattro mesi e ora sono lì al buio, sotto terra. Davanti non si sente che un sottile rumore di presenza, o almeno questo è convinto di sentire. Il percorso al buio durerà abbastanza a lungo da mettere alla prova la fiducia e la forza d’animo. Il monaco è stato chiaro: non puoi lasciare spazio alla paura né al dubbio. Le titubanze frenano e minano l’intenzione mettendo a rischio l’intero piano. Niente domande allora e lascia scorrere via i pensieri. Anche perché a questo punto non ha più senso domandarsi niente. Quando si è in ballo, si può solo giocare e, a pensarci bene, in ballo ci si è sempre stati. 

Continua a camminare. Con gli occhi chiusi gli pare di ripetere gli esercizi e così placa l’ansia della fuga. La concentrazione va solo sul movimento, gli ha detto mille volte il monaco. Non pensare a nient’altro.

Non importa dove sei, non importa con chi sei, conta solo quello che fai e quanto ne sei consapevole. 

Si concentra. Un passo dopo l’altro e l’andamento diviene più fluido. I pensieri e le emozioni hanno sempre meno presa. Avanza. Dopo l’appoggio il piede si alza, sente il corpo sbilanciarsi per una frazione di secondo, finché arriva a terra il piede opposto. Un passo dopo l’altro è tutto quello che c’è e tutto quello che c’è riempie la mente.

Comincia a intuire. Il monaco aveva ragione. Non un giorno di meno, finché non fosse stato pronto, non c’era nemmeno da parlarne. In questi casi non si prova, si fa. Chissà da cosa ha capito il monaco che era pronto. Lui se ne rende conto solo ora, ora che la paura non lo coglie, ora che quella concentrazione diventa qualcosa di incredibilmente piacevole. La fluidità con cui si muove gli fa crescere dentro una sensazione di libertà. La fuga, ora che è in atto, non è più qualcosa da ricercare. Lo scopo si perde nell’essere. Quel sotterraneo potrebbe essere infinito. Non ha più importanza. È già libero.