RACCONTO – La guitta

RACCONTO – La guitta

Ogni sera dalle 18.00 alle 20.00 lei era lì. Ogni sera per sei mesi. Si diceva che avesse avuto una vita intensa, che avesse studiato molto e ottenuto successo, ma nessuno conosceva veramente la sua storia.

C’era chi la considerava matta, chi saggia, chi furba, chi compassionevole.

Qualcuno diceva che aveva perso la testa durante un viaggio, per qualcun’altro era stata un’esperienza estatica a farla diventare così. Altri ancora dicevano che aveva subito chissà quale violenza chissà dove, che lei sublimava in quel modo. 

Nessuno sapeva dove sparisse gli altri sei mesi dell’anno, ma ognuno aveva fatto del suo ritorno, puntuale il 6 aprile alle 18.00 al Café dei Perduti, un punto di riferimento per il cambio di stagione come le prime fioriture o il ritorno delle rondini. Chissà, si chiedevano in molti, se anche in un altro posto del mondo aspettavano puntuale il suo ritorno, il 5 ottobre, quando non si vedeva più sedere al suo solito tavolo nell’angolo del Café. Chissà, magari viaggiava come una nomade, magari non aveva un posto fisso come quello. Magari il Café rappresentava il suo tornare a casa. Qualcuno aveva provato a domandare.

Lei rispondeva sempre con una risata. Non svelava mai niente di sé. Non parlava mai di sé. 

Si sapeva che dormiva a pensione e che possedeva solo una piccola valigia con pochi indumenti e oggetti di cura personale. I proprietari della pensione tenevano ormai quella stanza per lei, senza che lei avesse bisogno di prenotarla o di farsi sentire. Il 6 aprile preparavano la stanza per le 12.00 e il pranzo per le 13.00. Nessuno veniva a disturbarla alla pensione così come nessuno osava occupare il suo tavolo al Café. Si era creato una sorta di codice di rispetto, che nessuno osava violare.

La sera cenava al Café grazie all’offerta di chi veniva a sedersi con lei. Erano soprattutto gli intellettuali ad andare da lei e tanti giovani ricercatori dell’esistenza. Lei rideva sempre di fronte ai curiosi e ai pettegoli.

Agli scettici che le chiedevano da dove venisse e che formazione avesse, lei riservava il suo solito sorriso aperto e a chi insisteva accarezzava il viso in un gesto materno di compassione, per poi ridere di nuovo.  

Tutti imparavano presto a conoscere il rituale al Café. Un primo bicchiere di vino bianco, un altro bicchiere, un piatto di minestra, dell’acqua, un liquore digestivo. Generalmente i ragazzi si spartivano la comanda, così da poter avere più o meno una mezz’ora ciascuno per scambiare riflessioni con Ma e ascoltare le poche parole con cui lei risolveva gli enigmi e dava sollievo ai tormenti dei suoi interlocutori. Ma, così la chiamavano tutti.

Si esprimeva in forma di metafore, di aforismi, più spesso con le poesie. Sembrava che la poesia sgorgasse naturale da lei e che ci fossero rime e sestine per ogni quesito esistenziale. Come se in lei fosse nascosto un libro della vita compilato in un tempo fuori dal tempo. Lei ascoltava assaporando il suo vino e sorrideva benevola. Quando il richiedente aveva finito, posava il suo calice, alzava lo sguardo, gettava un’occhiata intorno, poi abbassava le palpebre e con una voce che toccava le note della profondità dell’anima, decantava i suoi versi.

Un attimo di silenzio, poi riapriva gli occhi, si guardava intorno e scoppiava in una risata aperta, piena di gusto, e alzava il calice invitando gli astanti a brindare con lei.

E intanto chi aveva fatto la domanda rimaneva con l’espressione inebetita di chi capisce di non aver capito niente. Non erano risposte dirette quelle di Ma, però sostanziali. Ciò che diceva provocava normalmente due tipi di effetti: c’era chi si sentiva idiota per aver dato tanto peso a qualcosa che d’improvviso sembrava semplice e quasi banale, chi se ne andava sconcertato comprendendo che l’oggetto su cui riflettere era ben più vasto e andava considerato alla luce di aspetti che lui non aveva neanche preso in considerazione. 

Alle 20.00 in punto, Ma buttava giù l’ultimo sorso del suo liquore, si alzava, passava una leggera carezza sulle guance dei più giovani e dei più ostinati e se ne andava. I nuovi che azzardavano ancora una domanda, venivano subito zittiti dagli habitué. 

Quella sera alle 19.58 Ma stava sollevando il suo bicchiere per congedarsi quando un giovane alto dai capelli scuri si fece strada sgomitando tra gli altri e si fermò deciso davanti a lei. Piantando una mano sul tavolo, parlò in modo da farsi sentire bene da tutti. 

«Allora la vogliamo piantare con questa storia»

Ma riappoggiò il calice e si mise ad ascoltare interessata «Tutti che parlano di te, che ti rispettano, sembri la saggia del posto e invece sei solo una nomade ubriacona, ecco chi sei». I ragazzi intorno si sentirono indignati per lei, ma sul volto di lei non comparve alcun cenno di offesa. «Ti vedo da lontano, sei qua tutte le sere e alla fine che fai? Bevi e ridi, bevi e ridi e dici giusto due parole che dovrebbero risultare sagge! Ma quale saggezza? Non si sa neanche da dove vieni e chi sei veramente!» Qualcuno protestò sottovoce, dovevano bloccare quell’insolente, ma poiché la donna non disse nulla, nessuno disse nulla.   

Il giovane, sempre più sicuro di sé, continuò «Non posso nemmeno dirti vecchia che forse non lo sei neanche così tanto. Sembri saggia perché sembri vecchia e sembri vecchia perché bevi troppo! E secondo me tu ridi per non piangere, già tu ridi, ridi anche troppo e voi tutti intorno che la guardate ridere, ahaha, così, guardate anche me che me la rido, ahahaha». Il giovane cominciò a ridere in maniera chiassosa e scomposta, con gli occhi al cielo e la bocca aperta, muovendo la testa un po’ a destra, un po’ a sinistra.

Con un gesto repentino, che la maggior parte degli astanti neanche vide, Ma prese il suo bicchiere ancora pieno e lo rovesciò tutto insieme nella bocca spalancata dell’uomo. Questi, che si stava ancora sforzando di far sentire le sue risate all’intero Café, abbassò la testa di colpò e, con gli occhi sbarrati, sputò tutto il liquore sul tavolo e cominciò a tossire. Quando finalmente si sentì al sicuro, guardò Ma negli occhi terrorizzato. Lei, placida, gli disse: 

«Quando parli, quando ridi, mantieni sempre la presenza». In quel preciso momento il giovane capì. Abbasso il capo con umiltà. 

Ma si alzò tranquilla, sorrise a tutti bonariamente e lasciò il Café. Con soli pochi minuti di ritardo rispetto alla consuetudine, si incamminò verso la sua pensione nella luce del tramonto. Nessuno osava mai seguirla.