Omaggio a Gianmaria Testa
Quel signore stava lì seduto da solo sulla panchina davanti al Canale e guardava in alto. Avrebbe potuto guardare l’acqua come fan tutti oppure spostare lo sguardo verso destra dove sopra la città si stagliavano ancora i colori rosei del sole ormai inabissato fino all’indomani. E invece guardava il cielo sopra di sé.
Anna si avvicinò.
Era appena uscita da scuola, portava lo zaino sulla schiena e in mano la custodia del suo flauto traverso. Quella figura l’aveva colpita già da lontano. Era abituata alle stravaganze della gente, a Venezia c’erano tanti turisti, studenti e poi tutte quelle persone del mondo dell’arte, come le diceva la mamma.
Quel signore non era poi così eccentrico:
pantaloni spessi a coste marroni, scarponi dello stesso colore e una giacca di una tonalità un po’ più scura che indossava col bavero alzato. Aveva i capelli né lunghi né corti perlopiù neri tra cui si intravedevano dei fili argentati. Anna vide posato sulla panchina un borsalino. Glielo aveva detto la mamma il nome di quel cappello e le era rimasto impresso, perché pensando all’origine del nome se l’era figurato come una borsa per la testa. Con la scusa di guardare un gabbiano, si intromise nel poco spazio tra l’uomo e l’acqua. Allora lo vide in faccia: sembrava stesse facendo dei conti, ma non aveva l’espressione di un uomo di finanza.
Ad Anna ricordò Pierrot ed è forse questo che l’attrasse.
Si toccò la guancia dove si era fatta disegnare la goccia per il Carnevale dell’anno prima. Lei aveva messo il costume blu. Questo signore era vestito di marrone, quindi non poteva essere Pierrot. Forse era un poeta, si disse, ma cosa avrà da contare?
Si alzò una leggera brezza e Anna abbassò il collo nel giubbotto per proteggersi dal freddo pungente dell’inverno. Fu allora che l’uomo la notò. La guardò sorpreso come se lei fosse lì per il suo stesso motivo. Un punto interrogativo si dipinse sul volto della piccola Anna. L’uomo piegò la testa come fanno certi cuccioli quando vogliono capire. Per un tempo indefinito i due si guardarono dritti negli occhi. Infine Anna esordì candidamente:
– Che stai facendo? – gli disse.
Accidenti, pensò subito dopo, se la mamma sapesse che sono stata così maleducata si arrabbierebbe un sacco. L’uomo non sembrò fare caso alla sfacciataggine e prese anzi la domanda sul serio:
– Sto aspettando che cada la luna.
Anna fece un veloce ripasso delle sue conoscenze e si domandò se ci sono cose del cielo che poi si imparano quando si è più grandi, quindi rispose:
– È per questo che facevi i conti?
– Sì – assentì lui – secondo i miei calcoli deve cadere stasera proprio qua nel Canale, ma stavo controllando le coordinate – spiegò convinto.
Anna guardò prima il cielo e poi si voltò verso il Canale,
dall’altra parte l’isola della Giudecca, che trasmetteva come sempre la sua aura di tranquillità. Se cade nel Canale, pensò, potrebbe fare una grande onda e inondare l’isola, e se ne dispiacque.
– Io sono brava con la matematica, ti posso aiutare? – chiese voltandosi di nuovo verso il desueto Pierrot.
– Hmm – sembrò riflettere lui – forse.
– Fammi vedere cosa guardi – insisté Anna.
L’uomo acconsentì e iniziò a indicarle il piano dell’orizzonte astronomico, lo zenith e i punti in cui si colloca l’alba e il tramonto della luna.
– Nelle città ci sono troppe luci, non si vedono bene le costellazioni e non si vede neanche quando cade la luna, ma io nel deserto ne ho viste anche cinque di lune cadere.
Anna lo ascoltava affascinata e anche un po’ rassicurata. Se ne aveva viste altre e stava ancora bene, vuol dire che non era una cosa così tremenda.
– Ma allora non è un problema? – chiese in modo tale da scongiurare una risposta diversa da quella desiderata.
– Se ti riferisci all’isola – disse guardando verso il Redentore e intuendo i timori della piccola – puoi stare tranquilla. La luna cadrà nel Canale, si inabisserà e rimarrà incastrata nelle alghe, ma tutti saranno troppo occupati nelle loro case, con le luci artificiali degli schermi, tanto presi dalle cose di tutti e di tutti i giorni, e nessuno se ne accorgerà.
Anna lo vide assumere un’espressione triste, di lutto. Aveva visto quella stessa espressione nella mamma quando era morto il nonno.
– E non può brillare dal fondo del Canale? – provò a dire per trovare una consolazione.
– Il suo posto è lassù – rispose l’uomo prendendo tra le mani il suo cappello – è da lassù che ispira l’amore e la poesia, è da lassù che ci ricorda quanto è grande il cielo.
Anna guardò in alto e contemplò l’arco celeste:
ormai era buio, gli ultimi colori del tramonto avevano lasciato spazio alla luce dello spicchio lunare. Si toccò di nuovo la guancia pensando alla lacrima del suo costume. Sentì qualcosa nel petto, qualcosa di grande che si apriva.
L’uomo si mise il cappello in testa e fece per alzarsi. Anna lo fermò:
– Aspetta, perché te ne vai adesso? Non stavi facendo ancora i conti? Ti ho interrotto, devi ricominciare, magari ti sei sbagliato.
Delle nuvole erano arrivate da est. Anna guardò l’uomo e poi riguardò la luna che ora si intravedeva tra le nuvole. Sembrò implorarla con lo sguardo.
– Ho finito grazie a te – disse l’uomo e ora sorrideva come pacificato – avevi ragione, sei proprio brava in matematica.
– E allora? Cadrà? – chiese Anna preoccupata.
– No, non stanotte, mi sono sbagliato. Non avevo calcolato una variabile positiva nel mio conto.
Anna lo guardò senza capire, ma fu contenta.
– La poesia è salva grazie a te… – gli disse lui mentre si allontanava con una mano che teneva il cappello sopra la testa.
Anna sorrise e si sentì fiera. Aveva fatto qualcosa di importante. La poesia è salva grazie a me, si ripetè, non vedo l’ora di dirlo alla mamma! e riprese balzellando la via verso casa.
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Immagine di Francesco Casati