In fisiologia come in altri campi si usa la parola efficienza per descrivere la capacità di un sistema di assolvere al proprio compito massimizzando il rendimento, ovvero ottenendo il miglior risultato possibile col minor dispendio energetico possibile.
Nel caso del respiro: «L’efficienza della inspirazione è attiva e sta nella muscolatura, ma l’efficienza della espirazione è soprattutto passiva ed è dovuta al ritorno elastico del tessuto polmonare: cioè questo si contrae vuotando l’aria soprattutto per l’accorciamento delle fibre elastiche. Quindi l’efficienza della respirazione diminuisce con l’aumentare della frequenza, perché accorciandosi il tempo di espirazione si toglie alle fibre elastiche la possibilità di completare la contrazione, e si avrà allora l’aumento del ristagno polmonare d’aria ricca di anidride carbonica; se ne deduce agevolmente che una espirazione lenta e prolungata è molto più efficiente di una veloce e breve» [1].
Questo principio non è nuovo ai praticanti di yoga, che conoscono bene il valore di una espirazione lenta e prolungata.
In ogni scuola è insegnata la respirazione yoga completa, seppur la sua esecuzione in un modo o in un altro sia oggetto di dibattito tra scuole differenti. La tradizione dello hatha-yoga non viene in aiuto per questo, dal momento che il respiro yoga completo sembra qualcosa di molto recente e nient’affatto considerato nei testi antichi.
La necessità di lavorare sulla presa di coscienza del movimento respiratorio, prima ancora che sulle correnti del prāna come vuole lo hatha-yoga dell’inizio, è dettata dalle lacune del moderno stile di vita occidentale. Nell’ultimo secolo infatti il ritmo di vita è accelerato, sono diminuiti i problemi fisici e materiali, ma sono aumentate l’ansia e la depressione. Tutti questi fattori contribuiscono a rendere il respiro corto e affannoso [2] oltre che a togliere consapevolezza al respiro in sé, tanto che molte persone si trovano spesso persino in apnea. Infine lo sport orientato alla prestazione ha incoraggiato il respiro toracico a scapito di quello cosiddetto diaframmatico. Così è stato insegnato anche nelle scuole col risultato che la maggior parte delle persone è incapace di ottimizzare il movimento diaframmatico, sviluppando di conseguenza un respiro “alto” e meno efficiente.
I respiri sezionali e il respiro completo sono mirati alla rieducazione della corretta coordinazione respiro-diaframma e all’ampliamento del volume corrente di aria [3].
L’attenzione è portata all’addome, al torace e al petto (zona alta del torace, intorno alle clavicole) in quelli che sono detti rispettivamente: respiro addominale o diaframmatico, respiro toracico e respiro clavicolare. Sebbene queste tecniche permettano di sfruttare una capacità molto più ampia dei polmoni rispetto a una normale respirazione, esse non sono veramente complete, ovvero non tengono conto di altre zone in cui il respiro trova spazio.
Quando è pieno e libero il respiro infatti si sente come movimento di riflesso nell’intero tronco a partire dal pavimento pelvico fino al collo.
Questo movimento è fondamentale non solo per il pieno funzionamento polmonare, ma anche per gli organi connessi.
«All’Istituto Kaivalyadhama di Lonavla, in India, adottano una singolare tecnica per rendersi conto dell’andamento dei prâna-vâyu e quindi individuare eventuali blocchi energetici su cui poi impostare un programma di pratica adatto al caso. Si chiede al soggetto di posare le mani su una serie di punti del tronco e osservare se in quei punti si riesce a percepire un movimento che sia sospinto dal respiro: sulle due clavicole, sul torace, ai lati delle coste (a destra e a sinistra), sull’ombelico, sui fianchi ai lati dell’addome, sul pube, sul dorso alla base del collo, sulla zona lombare, nella regione anale.
Nei punti dove non è percepibile il movimento respiratorio si ha un blocco energetico e sarà facile notare come ciò corrisponda a un disturbo della zona in questione: i soggetti che non avvertono nessun moto nella regione anale soffrono nella maggior parte dei casi di stipsi [4]; sono rari coloro che sentono movimento nella zona cervicale e di fatto sono molto diffuse le cervicalgie» [5] .
Questo principio si spiega facilmente anche nei termini della comune anatomia e fisiologia, oltre che con la fisiologia mistica dello yoga. La causa è da ascriversi alla rigidità muscolare.
Quando un muscolo è contratto perde la sua agilità e flessuosità, i movimenti più grossolani sono eseguiti con dolore o difficoltà, mentre quelli minimali o appena percepibili non sono eseguiti affatto.
Così, ad esempio, nel caso di un’ernia lombare, una sciatalgia o anche solo una lombalgia temporanea, i muscoli lombari si contraggono per proteggere la colonna vertebrale. La persona sente la schiena rigida e fatica a piegarsi, il movimento respiratorio nella schiena è assente. Lo stesso si può dire per la zona cervicale.
Nei casi di scoliosi strutturale o posturale, è probabile che il movimento percepito ai lati del torace sia asimmetrico: percepito più da un lato che dall’altro oppure che spinge nella stessa direzione, mentre l’inspiro dovrebbe portare in direzioni opposte: le coste destre verso destra, le coste sinistre verso sinistra.
Quando i disordini si presentano sul piano digestivo, i tessuti degli organi addominali si irrigidiscono e trasferiscono questa rigidità ai muscoli addominali interni e poi esterni. Il risultato è un addome che fatica a muoversi sia nella parte centrale che nei fianchi. Lo stesso vale per l’area pubica e il pavimento pelvico, che sono legati rispettivamente agli organi genitali interni e all’intestino.
Ora, considerando che le rispondenze nel corpo hanno sempre effetto biunivoco, se la rigidità blocca il respiro, un respiro profondo e mirato può aiutare a sbloccare la rigidità.
Il movimento respiratorio massaggia i muscoli e ossigena i tessuti e gli organi:
«Un efficiente lavoro del diaframma ha un positivo effetto secondario sulla ossigenazione dei tessuti: durante la contrazione, appiattendosi contro i visceri addominali, ne spreme il sangue, stimolandone un più rapido ritorno verso cuore e polmoni, favorendo anche indirettamente una migliore ossigenazione del sangue, specie quello proveniente dagli organi addominali».
Quando gli organi, i tessuti e i muscoli sono meglio ossigenati, aumenta la loro efficienza fisiologica. Questo lavoro può essere ottenuto già con la semplice attenzione al respiro, magari poggiando le mani sull’area interessata per una migliore percezione. Spesso però questo ascolto non è di per sé sufficiente per sviluppare una piena consapevolezza e quindi ampliare il movimento respiratorio in quella stessa area. Ecco che allora vengono in aiuto gli āsana. Bloccando il corpo in una specifica posizione, si spinge il respiro in un punto preciso, dove sarà percepito maggiormente rispetto al resto del tronco. La lezione “Il respiro efficiente” affronta proprio questi āsana per prendere consapevolezza e ampliare il respiro in ciascuno dei punti elencati sopra, massaggiare muscoli e organi per togliere rigidità, sbloccare il prāna per ripristinare le funzioni fisiologiche e rendere il respiro veramente completo.
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- https://it.wikipedia.org/wiki/Ventilazione_(fisiologia) .
- In alcuni casi si verifica il contrario: un respiro veloce e affannoso concorre all’origine dell’ansia.
- «Quantità d’aria che viene mobilizzata con ciascun atto respiratorio non forzato (300-500 ml) da Wikipedia.
- Ho trovato talvolta anche casi opposti di disordini con frequente dissenteria. In ogni caso si tratta di un segnale che mostra mancanza di una funzione fisiologica equilibrata.
- Dal mio libro “Yoga, dall’Armonia alla Gioia” ed. Magnanelli, Torino, 2012.
- https://it.wikipedia.org/wiki/Ventilazione_(fisiologia) .