ARTICOLO – I miti nello yoga

ARTICOLO – I miti nello yoga

 «È proprio del filosofo questo che tu provi, di esser pieno di meraviglia; né altro cominciamento ha il filosofare che questo» [1].

La filosofia è l’amore per la conoscenza e la madre di tutte le scienze. Fu dalle domande dei primi filosofi che nacque la ricerca nei vari ambiti del sapere. Prima che la scienza cominciasse a fornire risposte alle tante domande che l’uomo si pone su di sé e sull’ambiente che lo circonda, era il mito a dare spiegazioni. La mitologia dava un ordine logico alle cose e agli eventi, chiariva il senso della natura e serviva da metafora per ciò che accadeva all’uomo, il tutto in una forma semplice da comprendere e piacevole da ascoltare: il racconto. 

 «Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia [thaumazon] riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia» [2].

Il racconto è ciò che oggi si è conservato della tradizione dei miti. Se il mito oggi non è più all’altezza di spiegazioni considerate plausibili, il racconto ha ancora la capacità di meravigliare e portare la mente oltre la quotidianità dando un senso più profondo ai fatti e alle cose. 

Anche lo yoga affonda le sue radici nel mito. Un mito è alla base della nascita dello yoga e tanti sono i miti che danno nomi a altrettanti āsana. Qualcosa di simile è accaduto in Occidente, basti pensare alla leggenda di Filippide che ha dato il nome alla maratona [3]. Se però il collegamento col mito nelle ginnastiche occidentali è divenuto più flebile, nello yoga ha mantenuto la sua forza. 

L'amore per la conoscenza
Kurma-āsana, posizione della tartaruga

Ciò è dovuto all’aspetto archetipale della pratica e alla sua forte connotazione introspettiva, che creano un legame diretto con l’inconscio proprio come fanno il racconto e il mito.

Nel racconto mitico sono rappresentati e enfatizzati i desideri, le emozioni, le pulsioni.

La storia è tale per cui l’immedesimazione con l’eroe o il protagonista avviene a livello subconscio e dunque la trasformazione interiore o l’acquisizione di conoscenza accade senza elaborazione razionale. Nello yoga si ha lo stesso processo con lo stesso effetto con la differenza che l’acquisizione è mediata dalla rappresentazione fisica: è con il corpo che si impara ed è attraverso il corpo che si ricercano gli archetipi della memoria collettiva sepolti nell’inconscio di ogni individuo. Accade di fatto spesso che la storia non sia neanche raccontata durante la pratica, eppure quelle rappresentazioni, ovvero gli āsana, agiscono ugualmente sulla psiche. 

Nella lezione “Il luogo dello yoga” questa forza archetipale degli āsana è amplificata dai racconti. La lezione è una vera e propria immersione nella mitologia che accompagna lo hatha-yoga. Lo scopo della sequenza non è tanto far conoscere parte della cultura che sta alla base dello yoga, quanto far scaturire delle domande o meglio ancora destare meraviglia. 

Così come il mito e la filosofia nascono dalla meraviglia e generano meraviglia, lo stesso si può dire per lo yoga.

Lo yoga nasce storicamente come cammino spirituale e, per quanto abbia subito notevoli variazioni ed evoluzioni nel tempo, rimane un cammino di ricerca. Chi si avvicina allo yoga parte da un presupposto più o meno conscio: la voglia di scoprire qualcosa di più di se stesso/di se stessa.

Voler scoprire qualcosa di sé implica l’essersi fatto delle domande su di sé, che a sua volta significa essersi stupiti, nel bene o nel male, di qualcosa che riguarda se stessi. Non si ricerca niente se non ci si fanno domande e non ci si fanno domande se non ci si stupisce. 

Nel cammino poi si scopre continuamente qualcosa di nuovo [4] e ciò genera ancora più stupore. La scoperta è data innanzitutto dalle reazioni fisiche ed emotive alla pratica. Quando però alla pratica è affiancato il racconto, ecco che le emozioni si amplificano e acquisiscono spessore grazie all’elaborazione intellettuale. 

Il racconto incuriosisce e rende più leggero l’esercizio, perché distrae la mente dalla fatica fisica.

Il dare un contesto alla rappresentazione che si fa con il corpo aiuta a rendere la rappresentazione stessa più plausibile, perché scatta un meccanismo di identificazione. Quando si vuole interpretare e ritrarre al meglio la figura, il corpo automaticamente si aggiusta nella posizione corretta in una sorta di acquisizione spontanea e inconscia delle specifiche tecniche dell’āsana. 

L'amore per la conoscenza
Rappresentazione di Hanuman [5]
L'amore per la conoscenza
Hanuman-āsana

Questa spontaneità lascia emergere un filo di congiunzione tra la parte più esteriore di sé e quella più profonda, l’anima. Tutto ciò ha luogo se e solo se la pratica è approcciata con quell’atteggiamento di curiosità e apertura tipico dei bambini che vogliono scoprire il mondo. Per questo l’intera lezione audio prende le mosse proprio dalla domanda sulla propria capacità di meravigliarsi, altrimenti per quanto se ne possa parlare, si rischia di rimanere sordi al richiamo dell’anima: 

«Alcuni vedono l’anima come una meraviglia, altri la descrivono come una meraviglia e altri ancora ne sentono parlare come una meraviglia, ma c’è chi non riesce a concepirla neanche dopo averne sentito parlare» [6].

Quando non si concepisce questo valore aggiunto, lo yoga si riduce a mera ginnastica, perdendo il suo status di ricerca spirituale e in un certo senso il suo stesso significato, perché per la sua struttura intrinseca lo yoga non può limitarsi a una ginnastica. Lo yoga affonda le radici e necessariamente la sua crescita nella meraviglia.

«La meraviglia è il luogo dello yoga»[7].

 

L'amore per la conoscenza
Akashi-mudrā, gesto dello spazio

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  1. Platone, Teeteto, 155d.
  2. Aristotele, Metafisica, 1.2.982b.
  3. https://it.wikipedia.org/wiki/Fidippide.
  4. Cfr. il mio ultimo articolo “La meraviglia della prima volta”.
  5. Immagine presa da https://it.wikipedia.org/wiki/Hanuman.
  6. Bhagavad-gītā, 2.29.
  7. Shiva-sūtra, 1.12.