RACCONTO – Fantasia Sufi n.°1

RACCONTO – Fantasia Sufi n.°1

La carovana proseguiva lenta. Era caldo. 

Quel poco di umido rilasciato dall’afa veniva risucchiato dal terreno intorno. Una terra secca, arida, che non beveva da troppo tempo come le persone che la attraversavano. 

Il sole, pallido e forte, infuocava il terreno, nessuna nuvola in cielo per un po’ di tregua.

Il passaggio dei carri alzava la polvere, annebbiando la vista. Il giallo diffuso, la fame e la sete confondevano l’orizzonte. 

Dilazionavano il cibo e le bevande, per poter arrivare a destinazione.

Imparavano a non sprecare energie. Nessuno parlava.

C’erano bambini che piangevano in silenzio, le donne li strattonavano senza troppo vigore. Qualcuna aveva ancora la forza di portarli in braccio. I passi erano strascicati, gli animali rallentavano l’andatura dopo ogni sosta. 

I vecchi sedevano sui carri. I giovani portavano i sacchi sulle spalle; le ragazze reggevano i carichi sulla testa per ripararsi dal sole. 

Qualcuno aveva detto che la città era vicina. Lo avevano anche detto diverse settimane prima, ma della città non si vedeva ancora nessun segno. 

Sulla linea confusa dove arrivava la vista, solo giallo ocra e marrone, nebulosa di polvere e luccichio dell’afa. 

Un cavallo si fermò d’improvviso. La tenda della grande carrozza sussultò. I vecchi dentro ondeggiarono a destra e sinistra spintonandosi l’un l’altro senza volerlo. Il cavallo era esausto. Il cocchiere lo spronò senza successo. Scese a terra, gli controllò gli occhi. Non potevano permettersi di perdere un altro animale. Considerò se sacrificare la sua razione d’acqua, dato che sarebbe morto lo stesso. Forse sarebbe andato ancora un po’ avanti.

La città era vicina, dicevano da tempo. Gli dette l’acqua, pregando Dio. 

Intanto i giovani e le ragazze avevano posato le sacche a terra. I bambini avevano smesso di piangere e guardavano la carrozza con gli occhi grandi. Nessuno parlava. Gli animali non avevano la forza di fiatare. La polvere si posò per terra. L’afa lasciò spazio al silenzio del deserto.

Per un tempo indefinito tutto tacque. Finché si levò un canto.  

Tutti si voltarono verso la tenda. Il vecchio maestro era sceso dal carro. Intonò un canto che sembrava un lamento. Si scostò dalla carovana camminando verso il deserto. Aveva le braccia aperte e alzate al cielo. Ruotò il palmo della mano destra verso l’alto e quello sinistro verso il basso, cominciò a ruotare lento su se stesso e intanto cantava e alzava gli occhi al cielo.

I suoi movimenti erano calmi e rispettosi del suo fisico troppo debole e vecchio per ballare.

Tutti guardavano, nessuno diceva niente. Uno dei giovani tirò fuori un tamburo dal suo sacco, si sedette per terra e si mise ad accompagnare il lamento del vecchio. L’amico che era accanto a lui prese il liuto. 

Fu allora che le ragazze più giovani fecero svolazzare le vesti con il fazzoletto ancora in testa e le braccia impolverate.

La gente cominciò a sorridere. I bambini si compiacquero nel vedere i grandi di nuovo felici.

Forse la sofferenza era finita. Il vecchio cantava e si muoveva piano, avrebbe continuato a cantare tutta la sera e tutta la notte, finché avesse avuto le energie. Che la morte colga il mio popolo nella gioia, pensava; che la vita possa essere celebrata in ogni momento, cantava. Il vecchio era folle, ma la sua gente lo aveva sempre rispettato, perché lui aveva visto Dio. 

Un commento

  1. Rodolfo

    Ciao Gilda. Il tuo blog è davvero fonte d’ispirazione. Anche il racconto di questo mese non ha mancato di produrre un effetto che volentieri condivido.

    HABOOB

    Prima di dormire, fra le tende di un accampamento.

    – Senti questi canti, Ismail?
    – Sì, padre. Li sento ogni notte dall’ultima luna. E’ l’enigma di queste dune, ma lo sanno tutti ch’è il vento. Quando saremo passati cesseranno.
    – Dici bene figlio; il vento… Però, sai cosa c’è nel vento?
    – La sabbia, padre. La sabbia e la polvere: non c’è altro.
    – Ah, Ismail! Guardati dal provocare il deserto. Non ricordi quando tua madre ti raccontava la storia della carovana?
    – Sì padre, lo ricordo: la guida smarrì la pista e morirono tutti. A noi non succederà.
    – Sei molto sicuro. Come lo ero io alla tua età.
    – Sono tuo figlio.
    – Ciononostante, è già successo, e non una, ma molte volte.
    – Cosa intendi dire? Noi siamo vivi.
    – Sì, siamo vivi, ma siamo anche morti e siamo anche vivi.
    – Cosa significa: «Siamo vivi e siamo morti»? Non si può essere vivi ed essere morti. O si è vivi, o si è morti. Non capisco.
    – Lo so, non importa. Dormi. Io veglierò ancora un po’.
    – Vuoi vegliare? Qui? Questa notte?
    – Sì, Ismail. Voglio vegliare. Invecchiando si fanno strane cose. Quando i tuoi occhi saranno velati e le tue mani deboli succederà anche a te.

    Addormentato Ismail il padre s’apparta con un angelo.

    – Dorme tuo figlio?
    – Sì, dorme.
    – Gli hai detto ciò che ti ho comandato?
    – Sì, parola per parola.
    – Bene. Per l’acqua data al cavallo e per la preghiera la sua presunzione è stata perdonata. Domani, nella tempesta, sarò al suo fianco e non perderà la traccia. Dio vi reclama tutti e tu sei troppo vecchio per danzare ancora…

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