ARTICOLO – L’origine delle emozioni

ARTICOLO – L’origine delle emozioni

Secondo il Vedanta il desiderio (kama) è un flusso di pensieri verso un determinato oggetto (materiale o immateriale). L’idea è proprio quella di un fiume che scorre in una determinata direzione e che ha come fonte il desiderio stesso e come foce l’oggetto desiderato. La mente è il letto del fiume e i pensieri sono le particelle d’acqua che costituiscono il fiume stesso. I pensieri sono infiniti e continui, tanto che la mente non frena mai il suo corso. Ne è un facile esempio l’innamoramento: la persona innamorata pensa continuamente al suo oggetto d’amore. 

Il desiderio è il motore dell’azione ed è alla base delle emozioni. Più in particolare esso dà origine alle emozioni più devastanti dell’uomo. Tutto ha inizio col desiderio. 

Mantenendo la metafora del fiume, si pensi a una diga che ne devia la corrente. L’acqua è costretta a scorrere verso un’altra direzione che non è quella originaria. Allo stesso modo quando un ostacolo si interpone tra noi e l’oggetto desiderato, il flusso dei pensieri viene deviato. L’attenzione è catturata dall’ostacolo, non fosse altro che per rimuoverlo, e il fatto di non poter più pensare solo ed esclusivamente all’oggetto bramato genera rabbia (krodha).

La rabbia incontrollata, lasciata crescere e alimentata finisce per generare delirio e allucinazione. Si pensi ancora a un innamorato: egli viene a conoscenza che c’è un altro spasimante che potrebbe piacere alla sua amata. Ora l’innamorato deve tenere d’occhio questo concorrente e cercare di essere più meritevole di lui o sperare che lui non “vinca”. L’innamorato si trova quindi a dividere i suoi pensieri tra le fantasie d’amore e quelle di battaglia. È chiaro che verso questa nuova persona proverà rabbia.

A forza di controllare le mosse dell’altro e studiando ogni dettaglio, è possibile che cominci a sospettare indizi di relazione con la sua amata, anche se magari costruisce tutto nella sua mente. Così si genera l’allucinazione (moha). 

Poniamo invece il caso che l’innamorato riesca a realizzare il suo desiderio e finalmente conquista il cuore della sua amata. È probabile che dopo un po’ non gli basti più vederla solo due volte a settimana, ma magari vorrà vederla ogni giorno, vivere insieme, sposarsi. Possiamo considerare questa una forma di avidità (anche se esistono esempi migliori al di fuori del tema dell’amore!). 

L’avidità genera arroganza (mada) verso chi ha meno e invidia (matsarya) nei confronti di chi ne ha di più: l’innamorato guarda alla coppia che si è appena lasciata con una sorta di arroganza, perché la sua coppia è ancora solida; ma guarda alla coppia convivente e sposata con invidia, perché lui ancora non convive. 

Infine, ammettendo che si è ottenuto l’oggetto del desiderio senza aver sviluppato né rabbia, né avidità, né arroganza o invidia, in ogni caso facilmente si sviluppa la paura (bhaya) di perdere questa bella condizione che si è ottenuta o ricevuta dal cielo.

 

desiderio
Pinda-āsana, posizione fetale. Quando si ha paura, ci si rannicchia.

Si possono prendere esempi di tipo completamente diverso e si otterrà il medesimo risultato. Tanto che si può anche ragionare all’opposto: di fronte a un’emozione forte, si può capirne la natura andando a scovare il desiderio che ne è all’origine. 

«All’inizio bisogna purificare il discepolo ispirando serenità nella sua mente, addestrandolo alla disciplina degli organi di senso e alle pratiche spirituali. Soltanto in seguito bisogna insegnargli la scienza del Brahman, che è l’unica Realtà trascendentale. Chi comincia immediatamente a parlare del Brahman a un discepolo che non è pronto a comprendere questa scienza gli provoca confusione e un’immensa sofferenza che è del tutto inutile. Bisogna attendere che il discepolo sia arrivato al livello di intelligenza necessario e si sia purificato dai bisogni di gratificazione» [1]. 

Le emozioni considerate sopra sono dette i sei nemici dell’uomo. Finché l’uomo non è purificato da questi nemici, finché non abbandona l’attaccamento ai desideri, non può pensare di trovare una serenità duratura né tantomeno raggiungere le vette della spiritualità.

La lezione “La serenità della mente” è un piccolo excursus nelle emozioni nemiche, uno spunto di pratica e riflessione per sentire nel corpo e nella mente queste emozioni, se sono presenti, e avviare una ricerca interiore, più o meno conscia, per arrivare alla loro fonte. Solo raggiungendone la fonte si possono risolvere nella loro origine. Solo così si può trovare la serenità della mente. 

«La tua serenità è il segreto più profondo, che supera il pensiero, la conoscenza che non ha inizio o fine» [2]. 

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  1. Mahata Upanishad, 5.104-110.
  2. Maitreyani Upanishad