ARTICOLO – Cosa possiamo conoscere

ARTICOLO – Cosa possiamo conoscere

Molte funzioni del nostro corpo e della nostra mente sono ancora ignote o inesplorate. Conosciamo l’uso solo di una piccola percentuale del DNA e sappiamo che il nostro cervello non lavora al massimo delle sue potenzialità. Le droghe e gli stati di trance indotti con varie tecniche hanno mostrato che esistono altri modi di percepire il mondo.

Una volta sperimentati questi diversi modi, la consapevolezza dell’esistenza e dell’esistere non è più la stessa, diviene molto più ampia, la coscienza assume una dimensione più cosmica.  

Nella fisiologia mistica dello hatha-yoga il raggiungimento di questa dimensione è ascritto a un fenomeno per così dire “fisico”, ovvero alla risalita di Kundalinī, il serpente simbolo dell’energia potenziale dell’individuo. In Kundalinī si è visto tutto ciò che c’è di inesplorato nell’uomo: con la sua risalita il cervello viene inondato di energia e può funzionare al pieno delle sue potenzialità; l’individuo trova il suo compimento realizzando se stesso nella comprensione della propria vera natura; il mondo intorno viene percepito come qualcosa di unitario e globale, di cui l’individuo stesso è parte. 

Kundalinī giace assopita nel mūlādhāra-chakra [1], avvolta attorno allo svayambhū-linga («il linga [2] esistente di per se stesso») tre volte e mezzo su se stessa. Il numero delle spire non è casuale, i primi tre giri simboleggiano i tre stati della comune condizione umana come ricordati nelle Upanishad, la veglia (jāgrat), il sogno (svapna), il sonno senza sogni (sushupti), mentre la mezza spira indica il “quarto stato” turīya, raggiunto durante lo stato meditativo. Questi stati sono indicati nelle Upanishad come i diversi livelli della consapevolezza. 

«L’intera Realtà non è altro che il Brahman percepito nei cinque livelli di consapevolezza. Quattro di questi livelli possono essere sperimentati nel corpo e consentono di percepire il Jiva Brahman. Sono situati rispettivamente negli occhi, nella gola, nel cuore e nella testa: sono gli stati di veglia, sogno, sonno profondo e turīya (profonda meditazione)» [3]. 

La lezione “I livelli della consapevolezza” è un’esplorazione di questi livelli e del loro collegamento con le parti del corpo elencate dalle Upanishad. 

Non è difficile pensare di accumunare gli occhi allo stato di veglia. Tra tutti i sensi gli occhi sono quelli che ci danno più l’idea di essere presenti a ciò che accade, i più immediati recettori degli eventi esterni. D’altronde quando si dorme si hanno gli occhi chiusi, quindi se sono nello stato di veglia è perché vedo. 

«…proprio come i raggi del sole al tramonto si fondono nel disco solare e ne emanano di nuovo all’alba, tutte le forme di consapevolezza sono contenute nella mente, perciò quando i sensi sono inerti si dice che una persona sta dormendo» [4].

La gola è associata al vishuddha-chakra nella mistica yoghica. Questo chakra rappresenta il compimento del processo di individuazione, quantomeno su un piano terreno. Secondo l’analisi junghiana [5] a questo stadio, la persona ha percorso tutte le tappe della propria esistenza, elaborato i traumi maggiori, compreso le proprie dinamiche ed è finalmente capace di affermare se stessa.

Funzioni della mente
Matsya-āsana, posizione del pesce in cui la gola si apre totalmente. I pesci rappresentano i contenuti dell’inconscio.

Affinché ciò sia possibile occorre aver esplorato il proprio inconscio e raggiunto un livello per cui il piano conscio e inconscio riescono a procedere in sincronia, senza grandi contrasti. Per questo motivo evidentemente la gola è legata al sogno, il mezzo per eccellenza dell’espressione dell’inconscio. Anche la comune associazione del colore blu a questo chakra rimanda al profondo, perché il blu è normalmente legato all’introspezione. 

Nel percorso di studio verso la comprensione dello stato meditativo ci si imbatte spesso nella teoria che lo stato di sonno profondo (sushupti), il sonno senza sogni, è uno stato di completa remissione dell’io. L’io nel sonno si perde e si fonde nel tutto, senza però esserne minimamente cosciente.

Per questo si dice non ci si ricorda niente del sonno profondo e se veniamo svegliati in quella fase possiamo non avere la cognizione del tempo e dello spazio. Non possiamo sapere se ciò è veritiero, però sappiamo che i testi associano il sonno al cuore. Sappiamo anche che nel cuore è custodito il segreto dell’esistenza secondo le teorie vediche [6].  

Turīya è il nome che denota la consapevolezza che si vive nello stato meditativo.

Si tratta di quello stato, negli Yoga-sūtra detto samadhi, in cui la concentrazione reiterata è divenuta contemplazione continua e infine si è trasformata in uno stato alterato di coscienza. Il perché sia identificato nella testa è di facile intuizione per vari motivi: come jāgrat (la veglia) è uno stato che si vive in piena facoltà mentale e come tale più facile da “sentire nella testa”; nella fisiologia mistica dello hatha-yoga si verifica quando Kundalinī raggiunge l’ajna-chakra, il centro del comando nel punto tra le sopracciglia, quindi sempre nella testa. 

Per quanto alterata, la coscienza sperimentata in turīya, è sempre “terrena”, ossia legata al corpo e al mondo fisico. Per questo la citazione sopra afferma che nel corpo si sperimentano quattro livelli di consapevolezza, che corrispondo al Jiva Brahman, ossia alla parte del Brahman (il “Tutto”), che diventa individuo, che si cala in un essere particolare. 

Esiste però un’ulteriore stadio, che sarebbe il quinto livello di consapevolezza e che nello hatha-yoga è associato al settimo chakra, il sahashrara. 

La realizzazione di sé come individuo avviene nel quinto chakra, il vishuddha; il sentirsi parte di un mondo equo e globale in cui giocare il proprio ruolo specifico per l’armonia del tutto è prerogativa del sesto chakra, ajna; ma è solo nel settimo chakra che si ha l’esperienza dell’annullamento dell’io e della fusione nel sé universale. 

«Proprio come lo spazio diventa nient’altro che spazio quando il suo contenitore viene distrutto, la consapevolezza diventa nient’altro che il Brahman quando le cognizioni esteriori si dissolvono – come latte versato nel latte, olio versato nell’olio, o acqua versata nell’acqua» [7]. 

Secondo Jung era impossibile giungere a questo stadio finché detentori di un corpo terreno, perché la nostra esperienza di consapevolezza è necessariamente legata a questo corpo e perciò individuale o al massimo collettiva nel senso di turīya appunto. Naturalmente la tradizione yoghica ritiene invece la cosa fattibile, per quanto impossibile da descrivere e riportare, perché quella consapevolezza è una conoscenza che va oltre le parole, è uno stato di per sé, è lo stato del puro Essere.

«Tutto ciò che è cosciente nell’universo è semplicemente Cinmatra (manifestazione della consapevolezza). Questo universo stesso è fatto di consapevolezza, tu sei conoscenza, io sono conoscenza. Contempla il mondo come consapevolezza soltanto» [8].

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  1.  Si tratta del centro energetico della base, situato idealmente al centro del perineo, tra i genitali e l’ano.
  2. Il linga solitamente è una struttura di forma ovale, allungata come un obelisco. È un simbolo fallico, spesso il fallo di Shiva. Nella fisiologia mistica lo svayambhū-linga giace all’interno dei genitali ed è forse da identificare con il seme (lo sperma).
  3. Para brahma Upanishad, 5.
  4. Prasna Upanishad, 4.2-4.
  5. C.G. Jung, La psicologia del Kundalinī-yoga, Bollati Boringhieri Ed., 2004.
  6. Si veda il mio articolo “La luce nel cuore”. 
  7. Atma Upanishad, 2.21-23.
  8. Varaha Upanishad, 2.47 .