Negli Yoga-sūtra di Patanjali, principale testo classico di riferimento per lo yoga, tra i tanti concetti fondanti c’è quello di Ishvara Pranidhana, che possiamo tradurre con “abbandono a Dio”.
Ishvara non è un Dio creatore, ma piuttosto un modello da perseguire, un ideale da raggiungere.
È colui che vive totalmente nella sua vera natura, è il pieno Spirito senza tutte le afflizioni che incombono sulla natura umana come il karma, gli attaccamenti, le sofferenze.
In quanto puro Spirito è sempre esistito e sempre esisterà, è onnisciente, onnipervadente. È lo Spirito Universale che vive nello Spirito Universale a differenza degli uomini, che nascondono dentro di sé questa essenza spirituale, – perché tutto è fatto della stessa cosa nell’universo, tutto è pervaso dallo Spirito -ma che vivono, secondo lo yoga, in un’illusione colma di sovrastrutture mentali e fisiche, che non permette loro di riconoscere quella parte spirituale.
Ishvara Pranidhana significa pensare che esista quella parte anche se non se ne è avuta diretta esperienza.
Abbandonarsi ad essa significa avere fiducia che lo Spirito è ciò che si muove nel giusto, perché è l’unico che tutto sa, tutto conosce. Avere fiducia comprende anche l’idea di accettare ciò che non ci piace, ciò che non funziona immediatamente, gli imprevisti, le sfide, le crisi, perché parte di un disegno più grande.
Si tratta di una sorta di fede, ma che si può declinare sul piano terreno in tante piccole situazioni, che richiedono fiducia. Non mi metto a preparare una torta se non confido nel fatto che verrà bene. Non dipende solo dalle mie capacità, non si tratta solo di sicurezza in se stessi, ma anche dal fatto che credo, mi auguro, spero che non andrà via la corrente elettrica proprio nel momento della lievitazione, per esempio.
«La fiducia, come ogni atto di amore, non si colloca né in piena luce né nelle tenebre, ma in una penombra» [1].
Avere fiducia è un credere senza avere le carte scoperte. Non posso scommettere che sarà come dico, ma se vedessi solo buio nella direzione in cui voglio andare, probabilmente non mi incamminerei nemmeno. C’è appunto una penombra e in quella penombra io apro il mio cuore. La fiducia è un atto d’amore e ogni atto d’amore è tanto meno doloroso quanto lo si compie incondizionatamente, senza volontà di essere ripagati. Chi ha fiducia non deve temere la disillusione, ma essere pronto ad accettarla come parte del gioco, una sorta di assunzione del rischio.
«Prudenti, sì; diffidenti, no. Date a tutti la fiducia più totale, con tutti siate nobili» [2].
Cosa rende il cavaliere o il guerriero così prode ed eroico? Il suo coraggio, certo, ma ancora di più la sua fiducia. Il guerriero non ha paura di combattere o di morire, crede in quello che fa e per questo procede a testa alta. C’è un senso di nobiltà che attribuiamo in maniera simbolica ad ogni eroe ed è dato dalla sua fierezza e dalla sua fiducia, perché gli eroi sono sempre dalla parte del giusto e il giusto risiede nello Spirito, che è onnisciente. L’eroe si affida allo Spirito e generalmente compie proprio il viaggio dello Spirito.
Il viaggio dell’eroe è il racconto archetipico di una crescita interiore che porta alla realizzazione di sé. Ogni persona, diceva Fromm, è l’eroe di un poema epico, la propria vita.
È un lavoro sulla fiducia e la nobiltà la lezione “Siate nobili”, ma non è rappresentato attraverso i vari guerrieri dello hatha-yoga.
La nobiltà in questa lezione è ricercata in tutte quelle situazioni, posizioni, che normalmente ci fanno sentire indifesi, troppo esposti e vulnerabili. In tali situazioni spesso per paura, insicurezza o sfiducia, diventiamo goffi e viviamo la posizione, la situazione, come imbarazzante.
Chi ha fiducia, invece, sa trovare dignità e eleganza anche e forse proprio nell’esporsi all’altro.
D’altronde è nel rapporto con l’altro, specie nel rapporto più intimo che manifestiamo la fiducia maggiore. Se nell’intimità c’è rilassamento, se il corpo risponde mostrando se stesso senza paura, ma anzi con nobiltà e fierezza, l’atto di fiducia si è compiuto in pieno e tra quelle persone si instaura una relazione di intesa. Se dal corpo estendiamo questa intesa e questa fiducia alla mente e la porgiamo agli altri, concediamo agli altri un po’ della nostra intimità, non fisica, ma spirituale, allora tutti vivremmo più serenamente, tutti potremmo procedere serenamente in quella penombra:
«Se possiamo fidarci uno dell’altro, non c’è bisogno di fidarsi di nient’altro» [4].
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- Fabrice Hadjadj, Dall’intervista di Rodolfo Casadei, La purezza del diavolo, 2010.
- Josemaría Escrivá de Balaguer, Amici di Dio, Ares, 1999.
- Richard Rorty, citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018.