Ho già descritto [1] come la psicosomatica tracci una mappa corporea delle tensioni emotive. Il concetto di base è che ogni reazione emotiva trova un corrispettivo nell’organismo. Di conseguenza scatena in quell’area una reazione fisica: può trattarsi di una contrazione muscolare, di una difficoltà digestiva, di una disfunzione respiratoria.
Questi effetti “organici” si manifestano in un tempo relativamente breve e non sono così difficili da riconoscere e mettere in relazione con qualcosa che è accaduto.
I muscoli si contraggono immediatamente per un’eccesso di freddo per esempio, e possono fare evidentemente altrettanto se la freddura è psicologica. Cosa dire invece delle rigidità articolari? A meno che vi sia stato un incidente, non è così diretto e scontato far risalire un problema articolare ad un aspetto psicosomatico.
Le articolazioni manifestano rigidità in un tempo abbastanza breve se c’è stata un’intossicazione: nelle giunture, così come nelle ossa, infatti si accumulano tossine e metalli pesanti, che poi vengono smaltiti dal corpo. Quando le tossine sono più di quanto le singole articolazioni possano metabolizzare, ecco che si avverte una certa rigidità nei movimenti. Le tossine naturalmente possono essere anche psichiche, ma magari i loro effetti si manifestano più sul lungo termine. Come si manifestano sul lungo termine gli effetti di atteggiamenti di rigidità:
«Le articolazioni sono responsabili della mobilità della persona. […] Se un’articolazione si irrigidisce, significa che il paziente si è irrigidito su qualcosa. Un’articolazione rigida perde la sua funzione – se ci si irrigidisce su un argomento o un sistema, questo perde la sua funzione» [2].
Per capire la connessione prendiamo il caso della rettilineizzazione cervicale, ossia la perdita della curva fisiologica del tratto cervicale. È solitamente provocata o da un colpo di frusta, per un incidente quindi, o da posture e atteggiamenti che irrigidiscono la muscolatura in una data posizione. La rigidità muscolare finisce per influire sullo scheletro “spingendo” o “tirando” le vertebre fino a far sparire la lordosi cervicale. Per fortuna è una problematica che si può risolvere con il ripristino del corretto tono dei muscoli del collo e della mobilità cervicale.
I muscoli del collo possono divenire ipertonici e quindi rigidi per molti motivi, primo tra tutti le posture scorrette che teniamo alle scrivanie, davanti agli schermi, sulle poltrone, ecc. Il collo però si può anche irrigidire per presa di posizione. Il collo, insieme con la zona lombare, è anche la zona dove si scaricano maggiormente lo stress e e tensioni emotive.
In entrambi i casi ha luogo un conflitto: lo stress è generalmente derivato dal contrasto tra un bisogno sano, interiore di riposo, di pace, di serenità, e la scelta razionale, più o meno obbligata e/o necessaria, di andare avanti nonostante i bisogni.
Le tensioni emotive derivano invece da un conflitto tra ciò che accade, che ci viene detto o fatto, e il non dare a vedere l’incapacità di esserne distaccati, di non sentirsi colpiti sul piano personale.
Il collo, in sostanza, è il ponte, l’elemento di congiunzione tra il cuore e la testa. Qualsiasi conflitto tra i due troverà una rispondenza sul piano cervicale.
«Sulla base della mia capacità di valutazione sostengo che assolutamente tutto ciò che assume un aspetto corporeo ha anche un lato spirituale. Laddove c’è una forma ci deve essere anche un contenuto, o come diceva Platone, migliaia di anni fa: “Dietro ad ogni cosa c’è un’idea» [3].
Allo stesso modo tutte le articolazioni a lungo a andare possono subire pressioni, logoramenti e disfunzionalità legate all’usura. Ci si può quindi ritrovare con delle rigidità articolari senza capire subito da dove arrivino, perché magari il percorso è stato lungo e si è trattato soprattutto di atteggiamenti reiterati, mai cambiati, cronicizzati.
Nella maggior parte dei casi si tratta appunto di rigidità mentale, di ego che non fa tornare sui propri passi né mettersi in discussione, di chiusure nei confronti degli altri, di pesi e responsabilità, a cui non si ha il coraggio, la forza, talvolta la possibilità, di dire di no.
Ognuno di questi aspetti ha un corrispettivo in una o più articolazioni ed è esattamente questo che la lezione “Mantenere la funzione” analizza. La serie di āsana proposta evidenzia l’eventuale rigidità e vi associa una domanda che vuole essere l’interruttore per accendere la luce della consapevolezza. Di fatto è solo con la consapevolezza che si può mettere in atto il meccanismo inverso: allentare le rigidità articolari e muscolari tramite il movimento dolce e attento, e allo stesso tempo contemplare in questo processo un allentamento delle rigidità mentali.
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- Si veda il mio articolo: “Come reagisci agli eventi?”
- T. Dethlefsen e R. Dahlke, Malattia e Destino, ed. Mediterranee, 1986.
- R. Dahlke, Malattia come simbolo, ed. Mediterranee, 2005.