Posso portare niente per te, Swamiji, ho chiesto prima di partire. Lui ha risposto: sì, olio d’oliva.
-Yes, olive oil, a small bottle is enough, but if you can, bring two small bottles.
-Ok, Swamiji, I’ll see what I can do. – D’accordo Swamiji, vedrò cosa riesco a fare, come riesco a comprimere gli spazi.
Quando devo partire per l’India cerco di limitarmi nel bagaglio,
un po’ perché tanto là si può comprare tutto quello che serve a prezzo inferiore, un po’ perché quel poco che serve portarsi da casa bisogna assicurarsi che non vada perso. Così cerco sempre di riempire un unico piccolo zaino da tenere come bagaglio a mano.
C’entrano anche due bottigliette di olio d’oliva da 75? Forse 75 è un po’ troppo, diventa pesante, magari due da 50, o potrei metterlo nelle bottiglie di plastica, lo so che è un sacrilegio per l’olio, specie per questo olio, che mi procura mio nonno, uno dei più buoni d’Italia, ma appena arrivata mi raccomando di farlo trasferire nel vetro o nella terracotta.
Un modo comunque si deve trovare, vuoi dire di no a Swamiji? Vuoi non portargli qualcosa che ti ha esplicitamente chiesto? Uno non lo farebbe mai con un amico, figurati con un Maestro! E non è solo quel ji, quel suffisso che indica rispetto, che ti condiziona. Il ji d’altronde lo si può attaccare a qualunque nome: il signor Mario Rossi, potrebbe essere chiamato dagli indiani Marioji o Rossiji. No, qui si tratta di uno Swami, un religioso, il capo spirituale dell’ashram per di più, ovvero la figura più importante di uno dei più rinomati istituti indiani e soprattutto padre spirituale di molti di noi occidentali che in India vanno a cercare risposte che magari troverebbero anche qui, ma, si sa, qua ci si perde nella fretta, là si cerca di ritrovarsi nella lentezza.
Quale illusione. Non è semplicemente il luogo che permette di venire a contatto con la propria spiritualità. Fu proprio Swamiji a insegnarmelo.
Esistono tre cose, diceva: il luogo, le persone, la pratica. Le prime due possono cambiare, solo la terza rimane.
Era così che mi spronava ad andare avanti sul mio cammino in qualsiasi condizione ed in qualsiasi luogo. Non importa essere in India, non importa avere il maestro accanto, è importante continuare a praticare perché dalla pratica ti costruisci la tua esperienza e quindi la tua saggezza.
In cosa consiste la pratica?
Forse bisognerebbe riformulare la domanda chiedendosi in che cosa consiste il cammino, perché solo quando so chi sono, come sono e dove voglio andare, allora posso tracciare un percorso e avvalermi di tutta una serie di strumenti che mi possano aiutare a giungere a destinazione. Purtroppo è proprio quel punto di partenza, quel “chi sono” che spesso ci sfugge.
Diceva sempre Swamiji: sappiamo spesso dove vogliamo arrivare sulla mappa della vita, ma non sappiamo dove siamo noi ora su quella mappa. Come è possibile tracciare una rotta se non so da dove parto?! Inutile dire che senza andare troppo lontano, in India o in altri paesi orientali, i nostri stessi cari greci ci hanno lasciato in eredità la famosa formula: conosci te stesso.
Viene da chiedersi allora cosa rimane dei viaggi in India. Tanta ricchezza, la ricchezza del confronto e dello scambio, che vale per noi così come per gli indiani, che infatti non vedono l’ora di poter venire in Occidente, quanto meno per una visita. Così scoprono i nostri tesori come noi scopriamo i loro, e l’olio di oliva è uno di questi, tanto da meritare le attenzioni dei saggi.
L’Italia e l’India hanno molti aspetti in comune.
La grande spiritualità che si percepisce in India per esempio, sono convinta essere la stessa che aleggiava in Italia fino a cinquanta anni fa o anche meno: chi non andava in chiesa? Chi non aveva un santino in negozio o in macchina? Chi non recitava preghiere la sera o non si appellava a Dio in caso di bisogno? Le storie di Gesù erano raccontate ai bambini quanto in India lo sono quelle di Krishna. In realtà tutto questo esiste ancora in Italia, ma in maniera meno evidente, meno marcata, così come è già meno evidente la spiritualità nelle grandi metropoli indiane.
Ricordo la strana impressione del mio primo viaggio: mi sembrava un viaggio nel tempo più che nello spazio, mi sentivo in un ambiente in qualche modo familiare.
È così anche per gli indiani che visitano l’Italia, che si trovano generalmente bene perché i due paesi sono accomunati da elementi importanti come il forte senso della famiglia e la grande tradizione culinaria. Un amico indiano mi ha detto una volta di aver seguito un concorso culinario internazionale in tv, nel quale si decretava che proprio i due paesi in questione vincevano il primo e secondo premio come migliore cucina del mondo. Non ho mai verificato, ma per quello che mi riguarda la considero una verità. Certo il cibo indiano è molto più speziato del nostro, ma ho lacrimato molto di più in Calabria assaggiando peperoncini che lì si mangiano crudi come antipasto!
È la varietà che colpisce in cucina, tanti cibi diversi, tutti appetitosi, cibi che variano di regione in regione, prodotti tipici, frutta, per non parlare dei dolci e delle erbe aromatiche. Ci invidiano il basilico, che peraltro ha origine proprio dall’India, ma hanno il tulsi, una varietà di basilico che impiegano molto in cucina e che è addirittura considerata una pianta sacra, tanto che dalla corteccia ne ricavano anche le palline per costruire le mālā, ovvero i rosari degli induisti.
Anche il rito della spremitura esiste in India, peccato però che non abbiano le olive! Si trovano ottimi oli, soprattutto di sesamo, il più diffuso, adoperati sia in ambito culinario che per massaggi e altre applicazioni dall’Ayurveda, la più grande tradizionale scienza medica dell’India. Gli stessi medici ayurveda sanno bene però che le caratteristiche dell’olio d’oliva superano di gran lunga le doti di altri buoni oli e, paladini della teoria che ad ogni luogo le sue piante, ovvero le erbe migliori per la cura dell’uomo sono quelle autoctone del paese dove vive, consigliano spesso a noi occidentali olio di oliva per svariati usi.
Un rinomato medico ayurveda indiano mi ha consigliato massaggi con olio di oliva tutte le settimane per rafforzare le articolazioni e ovviare al fastidioso problema degli “scrocchi” articolari!
Mi è capitato altre volte in India di parlare di massaggi per il rilassamento e la bellezza della pelle e mi sono sentita rispondere stupita: ma voi avete l’olio di oliva, quale olio migliore per il massaggio? E pensare che se ci capita di avere spalmato un po’ d’olio d’oliva anche solo su qualche parte del corpo pensiamo subito di essere pronti per andare in padella!
L’olio di oliva è una ricchezza e se ne è reso conto anche Swamiji, grande amante della cucina italiana, seppur vegetariana ovviamente (adora le melanzane alla parmigiana), che si tiene volentieri una minima riserva di olio extravergine chissà se per aggiungerlo a freddo sui piatti o per i massaggi…A dir la verità non gli ho mai chiesto quale uso ne faccia principalmente. So solo che gli è cosa gradita tanto che in una delle sue visite in Italia sia io che altri discepoli gli avevamo tutti portato delle bottiglie di olio. Ne aveva fin troppo per i suoi bagagli e ha dovuto lasciarne un po’ qua ricordandoci però di portarglielo quando saremmo andati noi!
Porto volentieri l’olio in India e non solo per Swamiji, ma anche per alcuni amici. Ormai esistono negozi che vendono prodotti alimentari italiani, specie nei luoghi più turistici, ma si può immaginare quanto costino specie in confronto ai beni alimentari indiani non sottoposti ad importazione e alla moneta corrente europea. Mi chiedo solo come farò nel prossimo viaggio, dato che con tutte queste nuove leggi sulla sicurezza non si possono più portare liquidi nello zaino…dovrò mettere un bagaglio in stiva solo per l’olio di oliva!
___________________
Alla memoria di Swami Maheshananda.
Foto in copertina: Photo by blackieshoot on Unsplash
Foto nell’articolo: Photo by Roberta Sorge on Unsplash.
____________________