In accompagnamento alla lezione audio “Aprirsi al cambiamento”, riporto qui di seguito un estratto dal mio libro “Tecniche per l’ansia e la depressione” edito da Magnanelli Edizioni nel 2016.
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La vita è movimento e cambiamento.
L’ansioso ha paura di tutto ciò che cambia e cerca vanamente di rimanere statico per evitare il confronto con il cambiamento stesso. Il depresso rallenta drasticamente rispetto all’andamento del mondo e della vita, isolandosi, fissandosi sui pensieri, divenendo immobile e apatico. Entrambi temono la morte e di conseguenza la vita stessa. La vulnerabilità intrinseca dell’essere umano li spaventa e li blocca.
L’essere umano sin dalla nascita è in conflitto tra due forti spinte interiori: la spinta all’evoluzione e l’attaccamento allo status quo che gli dà la sicurezza di cui ha bisogno.
Ad esempio il bambino difficilmente smetterebbe di succhiare il latte dal seno materno, sarà quasi certamente la madre a staccarlo. Eppure allo stesso tempo il bambino sente il bisogno di esplorare, crescere, staccarsi dalla madre per trovare una sua strada, una sua indipendenza. Continuamente l’uomo si trova in questa dualità. Mantenere la condizione che già conosce è motivo di sicurezza, tranquillità, comodità. La curiosità per il nuovo e il fatto che, una volta appresa la lezione, il bisogno del vecchio esaurisce la sua presa a livello interiore, spingono l’uomo a cercare il cambiamento, ovvero a assecondare la legge di natura, stante che tutto cambia nella vita.
Cambiare per l’uomo significa sentirsi vivo.
Sia l’ansioso che il depresso sono invece agganciati al polo opposto, quello della morte. Entrambi temono di confrontarsi con questo aspetto mutevole della vita, l’ansioso per paura di perdere il controllo e perché si aspetta il peggio da ciò che potrà venire, il depresso per paura della solitudine e delle responsabilità che dovrà assumersi andando avanti (es. provvedere a se stesso, se sono venute a mancare le persone cui si attaccava; «diventare grande» se è finito il suo percorso di studi; rimboccarsi le maniche per un nuovo lavoro se è stato licenziato).
Il conflitto interiore, tipico di tutti gli esseri umani, diviene in questi casi patologia. Per superarlo, l’unica strada è vivere il cambiamento non come qualcosa che si è costretti a subire, ma come un’opportunità.
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La capacità di adattarsi al cambiamento, la fiducia, il sapere lasciar andare sono elementi chiave per superare le difficoltà della vita e costituiscono i cardini di un’esistenza spiritualmente realizzata.
Per arrivare a tale realizzazione occorre coltivare due atteggiamenti di base: vivere nel presente e ammettere la propria vulnerabilità.
Il problema dell’ansioso è ipotecare il futuro con possibilità disastrose e rimanere in un’attesa angosciante del peggio; il depresso non vede futuro, ma solo un grande buio, un grande interrogativo pieno di inevitabile angoscia. Entrambi vivono di proiezioni senza rendersi conto di ciò che hanno davanti.
Se si assume l’atteggiamento opposto, pensando a ciò che c’è da fare adesso, affrontando i problemi uno dopo l’altro, concentrandosi sul dettaglio e non sull’insieme, allora ci si rende conto che il futuro – e quindi buona parte del proprio destino – lo si costruisce con le singole azioni di tutti i giorni. Per il resto occorre ammettere la sofferenza come parte intrinseca della vita, l’altra faccia di una medaglia che solo nella sua interezza può farci sentire vivi:
«A un certo punto l’uomo deve permettere che il sempre temuto e respinto ferimento dell’anima avvenga, per im- parare che l’anima non perirà certo per questo. Bisogna diventare di nuovo vulnerabili per poter apprezzare il meglio della vita» [1].
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Thorwald Dethlefesen, Rüdiger Dalke, Malattia e destino, Roma, Ed. Mediterranee, 1986.