«Om! Che il mio corpo, le mie parole, il mio prana, la mia vista, il mio udito, la mia vitalità e tutti i miei sensi diventino più forti» [1].
Tutte le Upanishad della rinuncia, le cosiddette Upanishad dello Yoga, e anche la più antica Chandogya Upanishad cominciano con la stessa affermazione, in cui si auspica un aumento della vitalità. Nel verso la vitalità è associata ai sensi e al prāna. La salute dei sensi, la loro vivacità è effettivamente uno dei segni più marcati della vitalità. I sensi ci legano al mondo, ci permettono di farne esperienza. Se i sensi funzionano bene, l’esperienza è più definita, se l’esperienza è definita, si può imparare di più dal mondo che ci circonda e ci si sente più vivi. La persona depressa perde interesse in ciò che arriva dai sensi, e di fatto perde anche di vitalità.
I sensi sono il ponte tra il mondo esterno e quello interiore e una manifestazione evidente del grado di vitalità di un individuo.
La vitalità si manifesta però anche con la salute degli organi, la forza fisica, l’energia fisica e mentale (l’entusiasmo) che una persona dimostra di avere nel compiere le proprie azioni e muoversi nel mondo. Nella tradizione yoga tutto questo si traduce in un unico concetto: prāna. Il prāna è ciò che tiene vivo l’organismo, una fonte rinnovabile di energia vitale, che sottende a tutte le funzioni fisiologiche del corpo, dalla digestione al sistema nervoso, al movimento.
«La parola comprende tutti i tipi di suono, mentre l’energia vitale si manifesta come prana, apana, vyana, udana, samana e ana. Il corpo si basa su questi tre fattori: la mente, la parola e l’energia vitale» [2].
Come succede nelle scienze mediche, per comodità descrittiva, il prāna è diviso in sottocorrenti che prendono nomi diversi a seconda delle loro funzioni. Si tratta in realtà sempre dello stesso prāna, identico nella sua essenza, ma che collocato in aree diverse si occupa di mansioni diverse.
Si individuano cinque mansioni principali [3]:
- Prāna è una sottocorrente che porta lo stesso nome dell’insieme. A volte per non confonderle nei testi come quello citato sopra, si trova come āna, che significa respiro. Questa sottocorrente infatti si muove dall’interno all’esterno del corpo e viceversa, permettendo in particolare lo scambio dell’aria tra i polmoni e l’ambiente e l’assunzione di cibo.
- Samāna, responsabile della conversione del cibo in elementi nutritivi assimilabili dall’organismo: alimenta il fuoco gastrico, facilita la digestione e garantisce il buon funzionamento di tutti gli organi addominali
- Vyāna pervade l’intero corpo, distribuisce l’energia derivata dal cibo e dalla respirazione attraverso le arterie, le vene, i nervi; è responsabile della circolazione sanguigna e della sensibilità della pelle.
- Apāna, responsabile dell’espulsione del materiale da scartare come le urine, le feci, gli umori genitali, indica ciò che porta via gli scarti dal corpo, la forza energetica che spinge verso il basso.
- Udāna opera attraverso la gola, la laringe e la faringe, controlla le corde vocali, l’assimilazione dell’aria e la deglutizione del cibo, è responsabile delle attività più sottili come parlare e comunicare.
Vi sono poi dei vāyu (correnti) minori come ad esempio: nāga, responsabile del riflesso del rigurgito e del singhiozzo, allevia la pressione addominale attraverso l’eruttazione; kūrma controlla i movimenti delle palpebre e la grandezza dell’iride, regolando l’intensità della luce; devadatta induce gli sbadigli e il sonno.
La lezione “L’energia vitale” propone una sequenza in cui sentire una dopo l’altra tutte queste manifestazioni del prāna. La buona circolazione di queste correnti coincide con uno stato di buona salute. Tale circolazione è garantita dal direttore di orchestra di tutti i movimenti: il respiro.
La frequenza del respiro, la modalità con cui è eseguito, la sua profondità, il corretto scambio alveolare sono i fattori che garantiscono la possibilità che l’ossigeno che viene portato in giro da queste correnti effettivamente vada ad ossigenare gli organi e i tessuti.
Perché ciò sia possibile occorre fare attenzione a non iperventilare e a usare correttamente il diaframma, che è il podio del direttore d’orchestra.
È grazie al movimento del diaframma che tutto il resto funziona. Il diaframma è il centro da cui parte la vita. Non a caso la parola diaframma è legata al greco phren, che significa mente. La parola diaframma in greco indica una separazione (dia: attraverso; fragma – chiusura da frasso: chiudere), perché di fatto questo muscolo separa la cassa toracica dalla cavità addominale. Esso però è governato dal nervo frenico, che deriva il suo nome proprio da quel phren. Phren era per i Greci il centro della contemplazione e si trovava nel torace, presumibilmente proprio all’altezza del diaframma. Per questo molti associano direttamente il phren al diaframma.
A rafforzare questa idea c’è il fatto che la parola greca pneuma, che significa respiro, aria e da cui derivano diverse nostre parole come pneumologia e pneumatico, per i greci indicava il “soffio vitale” e quindi l’anima. Il pneuma è l’archè, il principio originario, base della vita per i presocratici, lo spirito per gli stoici. Persino nel Cristianesimo il termine pneuma è usato per indicare lo Spirito Santo.
«Come l’anima nostra, che è aria, ci tiene insieme, così il soffio e l’aria abbracciano tutto il mondo» [4].
Nello spazio centrale del diaframma si manifesta la vita. La vita terrena d’altronde si manifesta nello spazio centrale, tra la terra e il cielo:
«Questi sono i tre mondi: la parola è la terra, la mente è il cielo e l’energia vitale è lo spazio» [5].
Solo portando a pieno regime la potenzialità del diaframma e quindi dell’energia vitale interiore si può raggiungere lo scopo dello yoga, che è percepire una comunione di vitalità, sentire che il proprio essere vivi è parte di un’energia vitale più grande, immensa, infinita. La propria vitalità è propriamente il segno della vita che alberga ovunque e di cui noi siamo fieri portatori.
«La verità riposa sull’energia vitale, perciò è detto che la forza è più potente della verità» [6].
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- Yoga chudamani Upanishad.
- Brihad aranyaka Upanishad (1.5.1-3).
- Per una più estesa dissertazione sul prāna e sui prāna-vayu, si veda il mio libro “Yoga, dall’Armonia alla Gioia”, ed. Magnanelli, To (2012).
- I frammenti dei presocratici, 13, B2.
- Brihad aranyaka Upanishad (1.5.4).
- Brihad aranyaka Upanishad (5.14.1-4).