Un articolo su riza.it fornisce alcuni consigli per combattere i problemi della pelle, che hanno origine psicosomatica. Ovviamente non tutti i problemi cutanei derivano dalla psiche, ma buona parte delle problematiche, che inficiano l’aspetto estetico e quindi il modo in cui ci si presenta agli altri, hanno dei legami con certi blocchi di tipo relazionale.
«La pelle non può essere considerata semplicemente come un organo “superficiale”. Nella visione psicosomatica la pelle è molto di più: rappresenta una dimensione dove i nostri modi di essere si legano con il mondo, dove la nostra vita dialoga con l’esterno» [1].
La pelle è il nostro confine materiale, rappresenta la divisione tra noi e gli altri, il mondo esterno. Allo stesso tempo essa è anche il mezzo di contatto con gli altri e il mondo esterno. Questa linea di confine è vissuta anche dalla psiche, che imbroglia il cervello, con il risultato che quest’ultimo, non riconoscendo la differenza nell’origine del disagio, fa scaturire reazioni cutanee come se il problema fosse causato da un’allergene, un insetto o qualunque altra causa materiale che può danneggiare la pelle.
Se in un momento di introspezione, come lo è l’inizio della lezione “Il dialogo con l’esterno”, ci fermiamo a considerare la nostra pelle, possiamo imparare molto da essa. Possiamo capire qualcosa in più di noi stessi, se osserviamo e ascoltiamo la nostra pelle.
Generalmente i problemi di pelle sono problemi di relazione.
Spesso c’è dietro una richiesta d’amore e allo stesso una paura di quello stesso amore. La paura può essere dovuta al non sentirsi degni di essere amati o alla paura che un’altra persona possa entrare nella nostra interiorità scoprendo i lati peggiori di noi o semplicemente privandoci della nostra intimità e della nostra libertà. C’è sempre un conflitto tra l’essere liberi e indipendenti, ma soli, e l’essere insieme agli altri, amati nella condivisione di sentimenti, ma condizionati dai compromessi che sono naturali in qualsiasi relazione.
È questo bisogno di amore che viene sottolineato nell’esercizio delle “carezze”. Si parla sempre di imparare ad amare se stessi ed è corretto. Non si parla però mai abbastanza di riconoscere il bisogno di amore, da parte di se stessi e da parte degli altri. Accarezzarsi significa risvegliare questo bisogno e renderlo presente alla consapevolezza.
Gli āsana di questa lezione prendono le mosse dai vari consigli elargiti nell’articolo di Riza. Per esempio il cobra aiuta ad accettare il cambiamento (e con esso l’incertezza, perché niente è mai stabile e niente mai rimane uguale a se stesso). La montagna e il Buddha camminante con il gesto dell’abhaya-mudrā vogliono insegnare la fermezza e la capacità di mettere dei paletti quando necessario. L’aprirsi agli altri è una bella cosa, ma c’è un limite, un confine, oltre il quale è giusto che gli altri non arrivino. È il compromesso accennato sopra, per cui è giusto mantenere una propria intimità.
Si tratta dunque di ritrovare un equilibrio nuovo, un modo sano di relazionarsi che veda apertura e riconoscimento del limite allo stesso tempo.
Si tratta di imparare ad ascoltarsi, che è poi lo scopo di tutto lo yoga, come è lo scopo di tutto lo yoga la saggezza che ci fa mantenere un rapporto equilibrato con se stessi, con gli altri e con il mondo.
«Relazionarsi con il mondo esterno in modo più naturale è la condizione indispensabile per guarire dalle malattie cutanee» [2]
Non sarà un caso che nella Hathayoga-pradipika si affermi che lo yoghin ha una pelle splendente. Non sono solo le tecniche, ma anche la sua stabilità interiore, che fa si che la sua pelle non abbia niente da patire, da sfogare, nessun conflitto da sanare e niente da cui difendersi.
«La snellezza del corpo, la lucentezza nel viso, la chiarezza della voce, la luminosità degli occhi, la libertà dai disturbi, il controllo sull’eiaculazione del seme, la stimolazione del fuoco gastrico e la purificazione delle Nadi sono i segni del successo nell’Hatha (Yoga)» [3]
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- https://www.riza.it/psicologia/psicosomatica/4249/quando-la-pelle-parla-di-te.html
- Ibidem.
- Hathayoga-pradipika, II.78