Nella tradizione indiana ci sono molti modi di riferirsi all’Infinito, che in India è vissuto come Coscienza Universale, Spirito Omnipervadente. Il più comune è indubbiamente il Brahman, ma un altro dei suoi appellativi è Tripura Sundari, la bella dei tre mondi, il senso della Bellezza per eccellenza.
«Ciò che è, è pura Esistenza, ciò che risplende è pura Conoscenza, ciò che è caro è pura Gioia: ecco la Maha Tripura Sundari che assume tutte le forme nell’universo. Io, tu, e tutto ciò che esiste siamo parte di Maha Tripura Sundari, la Verità assoluta che è Bellezza assoluta. E’ il Brahman supremo, integro, non duale» [1].
«Dio è bello e ama la bellezza» dice un famoso hadīth [2].
Questa bellezza non può limitarsi ad una bellezza formale. La bellezza della donna, nel caso di Tripura Sundari, è indicativa, serve a dare l’idea di qualcosa che riempie il cuore, ma la bellezza della divinità va ben oltre il canone di bellezza umano: «Tutto ciò che è bello, potente, glorioso, sappi che scaturisce da un semplice frammento del Mio splendore» dice Krishna ad Arjuna nella Bhagavad-gītā [3].
Tripura Sundari è quella bellezza che lascia senza parole. È paragonabile al sentimento dell’amore totalizzante, un sentimento così intenso, così pieno che riempie di gioia e terrore al tempo stesso. Non a caso, Arjuna rimane esterrefatto, paralizzato quasi, alla vista di Krishna che gli si rivela nella sua vera natura, nella sua natura infinita: «O Signore dei signori, la Tua forma è cosi terrificante, Ti prego, dimmi chi sei» [4].
La bellezza di Dio, o dell’Infinito che dir si voglia, è terrificante, perché rimanda a qualcosa di immenso, qualcosa di fronte a cui ci caliamo immediatamente nella piccolezza e precarietà della nostra natura umana.
L’uomo riconosce la sua parte nell’universo e ammette la necessità di essere umile. La natura ci fornisce continuamente spunti di questa grandezza con i tramonti, le albe, i paesaggi incantevoli e l’immensità del cielo stellato. Non a caso l’uomo è sempre spontaneamente attratto da questi panorami anche se li ha contemplati innumerevoli volte.
La società industrializzata ci ha tolto l’abitudine di questa contemplazione e al contempo ha relegato la precarietà dell’essere umano all’insieme dei tabù. La morte, la vecchiaia, la mancanza di risposte alle grandi domande della vita sono argomenti sgraditi, ma evitando questi argomenti si evita con essi tanta parte della bellezza, perché la nostra precarietà è parte di quella immensità.
Ecco quindi che entrano in gioco i simboli.
I simboli costituiscono un aiuto per ritrovare una connessione con quella bellezza e allo stesso tempo non spaventare chi non è capace di coglierne il lato positivo, la realizzazione spirituale che emerge solo dal coraggio di contemplare direttamente quella bellezza.
Il simbolo apre le porte dell’infinito solo a chi lo studia, chi ci medita sopra, chi lo penetra. Per tutti gli altri esso rimane solo un segno, qualcosa di misterioso al massimo, ma non disturbante.
«La parola Tripura significa tre città o tre mondi, Sundari significa bella donna. Tripura Sundari significa la donna più bella dei tre mondi. Si chiama Tripura perché è simile al triangolo (triangolo) che simboleggia la yoni e ne forma il cerchio. È anche conosciuta come Tripura poiché il suo mantra ha tre gruppi di lettere. Si chiama Tripura perché si manifesta in Brahma, Vishnu e Shiva come creatrice, preservatrice e distruttrice dell’universo» [5].
Il triangolo è dunque la forma che simboleggia la Bellezza e lo Sri Yantra (conosciuto anche come Sri Chakra), incrocio di triangoli, diviene la porta simbolica della Bellezza Suprema:
«Nella scuola Shri Vidya del tantra indù, lo Sri Yantra (“strumento sacro”), anche Sri Chakra è un diagramma formato da nove triangoli intrecciati che circondano e si irradiano dal punto centrale (bindu). Rappresenta la dea nella sua forma di Shri Lalita o Tripura Sundari, “la bellezza dei tre mondi (terra, atmosfera e cielo (cielo)” (Bhur, Bhuva e Sva)» [6].
I tre mondi sono gli stessi invocati all’inizio del Gayatrī-mantra. D’altronde Gayatrī, conosciuta anche come Savitrī, è un’altra forma femminile dello stesso Infinito, stavolta non nella forma della bellezza, ma della forza vivificante del Sole.
L’uso del femminile per questi simboli lo si può ricollegare all’idea dell’amore universale, l’amore incondizionato come quello della madre.
Il Sole vivifica senza pretendere niente in cambio. Tripura Sundari colma il mondo di una bellezza fine a se stessa, una bellezza che non cerca e non pretende niente se non la pura contemplazione. Come l’amore spaventa chi è pieno di bisogni e desideri (per le paure che necessariamente accompagnano i desideri), così la bellezza diventa terrificante per colui che nutre attaccamento alla vita. Il saggio, lo yogin realizzato, che ha imparato a godere del gioco della vita senza attaccamento, riesce ad immergersi nella contemplazione senza paura. Riconosce la vastità della bellezza e proprio in quella trova la sua realizzazione e la sua pace:
«Tu sei il Brahman Supremo, la dimora ultima, il purificatore sovrano, la Verità Assoluta e l’eterna Persona Divina. Tu sei Dio, l’essere primordiale, originale e trascendentale. Tu sei il non-nato e la bellezza che tutto pervade. […] Guardando questa forma dall’aspetto umano, cosi meravigliosamente bella, la mia mente si placa e io ritorno alla mia normale natura» [7].
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- Bahuricha Upanishad, 5.
- Bhagavad-gītā, 10.41.
- Bhagavad-gītā, 11.31
- Racconto tradizionale della cultura islamica di valore religioso e giuridico, solitamente legato alle storie del profeta Maometto.
- https://en.wikipedia.org/wiki/Tripura_Sundari
- Ibidem.
- Bhagavad-gītā, 10.12-13 e 11.51