ARTICOLO – Mistica e crescita personale

ARTICOLO – Mistica e crescita personale

Nella fisiologia mistica dello hatha-yoga si parla spesso di passaggi o di varchi. La Kundalinī deve passare attraverso i vari chakra, aprirsi un varco attraverso la sushumna, attraversare i granthi. Questa simbologia mistica ben si confà all’idea dell’evoluzione umana come continuo movimento, passaggio da una consapevolezza all’altra. 

In quanto sistema simbolico, la fisiologia dello hatha-yoga non è da prendersi alla lettera.

Tante scuole e tradizioni diverse hanno dato differenti nomi e localizzazioni dei vari chakra e del loro significato, così come hanno evidenziato l’importanza di un passaggio o un altro. 

I sistemi simbolici dovevano servire come riferimento per fornire una mappa a un percorso che, seppure con leggere varianti, si ripete negli individui. Ogni persona nel suo percorso di crescita deve attraversare importanti passaggi. Può differire il tempo, la modalità, possono differire le occasioni che manifestano tali passaggi, ma tutti sono destinati più o meno ad affrontare le solite questioni e le solite difficoltà. Se poi una persona si dedica anima e corpo a questi passaggi, compiendoli tutti in piena consapevolezza e cercando di arrivare ai più alti e sottili (non tutti, anzi forse pochi, finiscono la loro vita avendo sviluppato una piena evoluzione della propria persona), ecco che questi passaggi sono ancor meglio delineati. È il caso degli yogin, ma anche di chiunque scelga di seguire un percorso di crescita personale. 

Al tempo dello hatha-yoga, la psicoterapia e il coaching non esistevano, l’interesse per la realizzazione di sé era però lo stesso. D’altronde l’uomo, come diceva Machiavelli è sempre lo stesso, cambiano solo le circostanze storiche e l’evoluzione materiale. 

Gli yogin avevano sviluppato un sistema di pratiche e discipline che li portava a dare un senso alla propria vita e a rimettere se stessi in una prospettiva più ampia rispetto agli altri e al mondo.

Questo sistema doveva avere dei riferimenti per funzionare, per capire da dove si partiva e dove si voleva arrivare. Ecco quindi che nasce l’idea del potenziale energetico, Kundalini, il nostro potenziale di realizzazione, che giace assopito alla base. Solo quando si ha un perfetto equilibrio di energie maschili e femminili (Ida e Pingala), la Kundalini si risveglia e si accorge che con la sua testa sta chiudendo il varco verso la realizzazione di sé.

«La Kundalini chiude l’apertura del Brahma randhra con la propria testa, e può essere risvegliata dal fuoco dell’Apana tramite la pratica dello Yoga. Allora risplende di una grande luce nello spazio del cuore, rivelandosi come la Conoscenza suprema» [1].

La Kundalini si può anche risvegliare senza particolari pratiche [2], e si può anche non svegliare mai.

Lo hatha-yoga con gli āsana e soprattutto mudrā e bandha, che invertono la direzione dell’apāna-vāyu, stimola e “velocizza” questo processo. Il termine “velocizzare” va tra virgolette, perché ovviamente la velocità è un’idea relativa: si dice che per aprire il muladhara-chakra, quindi risvegliare Kundalini, servano almeno dodici anni! Ne servono il doppio o il triplo per permetterle di fare tutto il percorso fino alla cima della testa. 

L’apāna-vāyu è l’energia che va verso il basso, è una corrente che elimina, che spreca (la dispersione del liquido seminale è vissuto come una perdita di vigore, quindi in un certo senso uno spreco). Invertire il suo corso e portarla in alto permette di investire più energie per la realizzazione. 

L’indirizzamento di apāna è accompagnato dalla mobilitazione della colonna vertebrale attraverso gli āsana e dalle mudrā che agiscono all’altra estremità della colonna, nella testa. 

«Khechari Mudra permette alla consapevolezza di muoversi nell’Akhasha. Bloccando il passaggio al di sopra dell’ugola con la lingua rovesciata questa mudra permette di non perdere mai sperma nemmeno nell’abbraccio di una donna bellissima»[3].

«Il passaggio che porta alla saggezza (sopra il palato) ha cinque porte: bisogna impegnarle praticando la Khechari mudra. Quando si esegue il Khechari mudra, il vayu che passava attraverso Ida e Pingala si trasferisce nella Sushumna, senza alcun dubbio» [3].

L’elasticità della spina dorsale permette una maggiore “permeabilità” dei chakra, che vengono stimolati con il movimento e quindi “resi sensibili” alle energie in salita.

«Il movimento di Meru fa muovere i Deva che risiedono nel centro del Meru, e ben presto si apre un passaggio nel Brahma granthi (“nodo di Brahma”). Dopo aver penetrato il Brahma granthi si penetrano il Vishnu granthi e il Rudra granthi» [4].

Ci si potrà chiedere che cosa significhi tutto questo da un punto di vista pragmatico, visto che il linguaggio adottato finora si rifa solo alla simbologia mistica. Dal punto di vista anatomico la mobilitazione della colonna vertebrale evita gli schiacciamenti discali e soprattutto, grazie anche al rafforzamento muscolare, determina il raddrizzamento della postura.

Se lo scioglimento del primo nodo determina un maggiore flusso di energia verso l’alto e una relativa consapevolezza delle proprie potenzialità, il superamento del secondo nodo, il Vishnugranthi si accompagna ad uno sblocco e un’apertura del plesso solare.

Ciò significa che il petto si apre, le spalle si aprono, la postura si raddrizza, la respirazione migliora, l’eventuale senso di oppressione alla base dello sterno svanisce. Tutti effetti facilmente riscontrabili con una buona pratica di āsana, incluso shava-āsana. 

Kundalini
Pashcimottana-āsana, posizione dell’ovest, già nei testi antichi era consigliato per l’ascesa di Kundalinī

 

Nel frattempo si è riconosciuto il legame delle emozioni con l’addome, con la digestione e la respirazione, si è capito un po’ di più del proprio modo di relazionarsi non solo con se stessi, ma anche e soprattutto con gli altri. 

Nel percorso tutto il tronco è preso come riferimento, perciò se la base è il pavimento pelvico, l’asse portante la colonna vertebrale, dovrà esserci un ulteriore passaggio in alto. Il Rudhra-granthi simboleggia l’ultimo passaggio, quello attraverso il quale si riconosce il proprio dharma, il proprio ruolo nel mondo. Rudra è un altro nome per Shiva, il distruttore.  A questo punto il praticante ha realizzato se stesso con tutte le proprie potenzialità, distruggendo l’ignoranza e l’accertamento e balla come Shiva la danza del mondo, consapevole del proprio posto nell’universo.  

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  1. Sandilya Upanishad, 1.15
  2. Si pensi all’esempio di Gopi Krishna.
  3. Dhyana bindu Upanishad, 81-84.
  4. Sandilya Upanishad,  1.56-57.
  5. Varaha Upanishad, 5.64-65.