La cultura è «l’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo» [1].
Ogni vocabolo assume varie sfumature a seconda del contesto e dell’uso che se ne fa. Questa definizione della parola cultura è quella che più in particolare si rivolge all’applicazione del concetto di cultura al singolo individuo. Ancor più precisamente essa descrive come la cultura plasma l’individuo.
Dovrebbe essere proprio questo lo scopo e il valore più alto della cultura: l’evoluzione psichica e spirituale della persona. Eppure oggi non necessariamente la cultura è valutata positivamente per questo. Ce lo ricordano con triste verità le parole di Umberto Eco:
«L’ammirazione per la cultura tuttavia sopraggiunge quando, in base alla cultura, si viene a guadagnar denaro. Allora si scopre che la cultura serve a qualcosa. L’uomo mediocre rifiuta di imparare ma si propone di far studiare il figlio» [2].
In questa visione la cultura è un mero strumento speculativo. L’uomo acculturato è l’uomo nozionistico, tanto più intelligente quanto più conosce. La cultura però, sappiamo, non è una questione di mera quantità.
Affinché la cultura possa plasmare l’individuo, nel senso di contribuire alla sua formazione ed evoluzione interiore, essa deve essere sottoposta, come vuole la succitata definizione, a un processo di rielaborazione e profondo ripensamento. Ciò che serve da accompagnamento all’acquisizione della cultura è la consapevolezza. Solo così essa può diventare parte del cosiddetto processo di individuazione, che, secondo l’idea del suo teorizzatore, lo psicoanalista C.G. Jung, si identifica con quel cammino psichico che porta alla realizzazione del Sé.
Di nuovo però occorre stare attenti alle insidie che si nascondono in una interpretazione superficiale di questa teoria. Se la cultura è vista come strumento speculativo per guadagnare ricchezza, la realizzazione di sé può essere concepita solo come l’arrivo al massimo successo mondano.
Sia la cultura che l’individuazione dovrebbero invece contemplare un forte accento spirituale:
«Il processo di individuazione è un fenomeno limite della psiche, e richiede condizioni particolarissime per diventare cosciente. Si tratta forse della fase iniziale di uno sviluppo di cui un’umanità futura imboccherà la via, ma che come deviazione patologica ha portato intanto l’Europa alla catastrofe. Sembrerà forse superfluo, a chi conosce la psicologia complessa, illustrare una volta ancora la differenza — chiarita ormai da tempo — tra il divenire cosciente e la realizzazione del Sé (individuazione). Continuo a vedere però che il processo di individuazione è confuso con il divenire cosciente dell’io, e quindi l’Io viene identificato col Sé, con l’ovvia conseguenza di una irrimediabile confusione. Perché in tal modo l’individuazione diventa semplice egocentrismo e autoerotismo. Invece il Sé racchiude infinitamente di più che un Io soltanto, come dimostra da tempo immemorabile la simbologia: esso è l’altro o gli altri esattamente come l’Io. L’individuazione non esclude, ma include il mondo» [3].
L’uomo realizzato è un uomo che ha compreso il proprio posto nel mondo e che sa contemplare il mondo nella sua unità. A questo ha indubbiamente contribuito la sua cultura, fatta di esperienze e studi. L’uomo acculturato è un uomo saggio.
Tutto ciò si rifà esattamente allo scopo e anche alle modalità di pratica dello yoga. Lo yoga cerca la realizzazione nel senso della saggezza. Lo yoga contempla un cammino fatto di esperienze e acquisizioni di consapevolezza. Lo studio è contemplato nel percorso sia dal punto di vista intellettuale sia, e anzi sopratutto, esperenziale. Le tecniche fisiche permettono di conoscere il proprio corpo. Gli archetipi degli āsana permettono di fare esperienza del proprio rapporto con determinati concetti, pensieri e persino realtà oggettive. Le meditazioni, così come sono intese nella scuola Yoga di Patanjali, sono concentrazioni sugli oggetti che devono portare a capire il funzionamento di quegli stessi oggetti. Si tratta di un modo molto analitico di osservare la realtà. Allo stesso tempo il coinvolgimento è totale, mente e corpo, perciò è impossibile non essere “intaccati” a livello profondo dalle acquisizioni che hanno luogo durante la pratica.
Nella lezione “Un profondo ripensamento” ho riassunto un percorso ideale di questo processo. Le posizioni scelte ricordano la progressione con cui si giunge alla realizzazione attraverso lo strumento della cultura. Dalla esplorazione candida del neonato, alla trasformazione del ragazzo, alla creazione dei propri valori e del proprio senso estetico fino alla piena consapevolezza del proprio essere, l’individuo può infine sentirsi pienamente Sé, nella propria interezza:
«Cultura significa trasformare ciò che si è appreso a scuola, in interezza e umanità naturali» [2].
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- https://www.treccani.it/vocabolario/cultura/
- Umberto Eco, Fenomenologia di Mike Bongiorno, 1961
- C.G. Jung, Considerazioni sull’essenza della psiche, in Opere, VIII.
- Friedrich Meinecke, Esperienze 1862-1919,