ARTICOLO – Il rispetto verso se stessi

ARTICOLO – Il rispetto verso se stessi

Qualche anno fa il Dalai Lama suggerì di modificare leggermente la pratica della mettā, la meditazione della gentilezza amorevole, in modo da includere prima di tutti se stessi. La meditazione tradizionale infatti prevedeva di recitare frasi di augurio e benessere nei confronti della persone care, delle persone che si incontrano nella vita e poi anche delle persone che non ci piacciono, dei nemici, per estendere infine l’augurio a tutti gli esseri umani e a tutti gli esseri viventi.

Il Dalai Lama si accorse che per molti, specie in Occidente, mancava un punto di partenza fondamentale: la compassione verso se stessi.

«La gentilezza (sinonimo di garbo, cordialità, cortesia o amabilità) è un comportamento rispettoso, riconoscente e benevolo, caratterizzato da atti di generosità, considerazione, assistenza o preoccupazione per gli altri. È considerata una virtù in molte culture e religioni, e appare in varie teorie sulla personalità come tratto o fattore essenziale. Il suo opposto è l’ostilità» [1].

Essere gentile significa riconoscere rispetto e considerazione, avere cura nella scelta del linguaggio e del comportamento, preoccuparsi di non offendere o ferire. Questo vale sia nei confronti degli altri che di sé stessi.  Molte volte verso se stessi tutto questo non viene attuato.

Si potrebbe pensare che questa carenza sia un problema del tutto personale e che poco incide sulla qualità dell’aiuto e del rispetto che si possono riversare sugli altri. Il problema è personale, ma non indifferente nello sviluppo del rapporto con gli altri:

«Aristotele definì la gentilezza come “la disponibilità verso qualcuno nel bisogno, non in cambio di nulla, né per il vantaggio dell’aiutante stesso, ma per quello della persona aiutata”» [2].

La persona che ha poco rispetto di sé, che si considera non degna di amore, che non è gentile verso se stessa, nasconde spesso delle dinamiche interne nel suo agire gentilmente e bonariamente verso gli altri: molte volte si ricerca amore, si cercano conferme, si fa di tutto per mostrarsi “bravi e buoni” in modo da colmare il senso di inferiorità e la carenza di amore che si provano interiormente. La gentilezza diventa quindi un atto doveroso, imposto da un bisogno interno più che da vera empatia. In quanto atto non incondizionato, chi lo compie, più o meno consciamente si aspetta anche i frutti dell’azione, atteggiamento che va contro la definizione data sopra da Aristotele e anche contro i principi di quello che in India è chiamato karma-yoga, l’agire incondizionato.

Solo sviluppando e coltivando la gentilezza, il rispetto, la compassione verso di sé, si può sviluppare una vera empatia.

L’empatia nasce infatti dal riconoscere la fatica e la sofferenza dentro di sé, accettarla, sviluppare amore verso se stessi in via di questa accettazione, e comprendere poi che tutti hanno avuto difficoltà simili. La comprensione di sé comporta infatti la comprensione del proprio “essere umano”.  Se capisco profondamente la difficoltà dell’ “essere umano”, la capisco in tutti gli esseri umani e quindi la compatisco (nel senso più positivo del termine: cum-pathos, soffrire con) in ogni persona. Se “soffro con” ogni persona, allora spontaneamente sarò gentile con ogni persona e lo sarò senza aspettarmi niente in cambio.

 

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La  lezione “Un comportamento rispettoso”, in diretto rapporto con questo articolo, è un piccolo percorso che parte dalla gentilezza verso se stessi, passa attraverso la gentilezza verso gli altri e arriva alla gentilezza nei confronti della Vita tutta. Abbonati a Patreon per provarla e vivere con il corpo il contenuto di questo articolo!

gentilezza amorevole

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  1. https://it.wikipedia.org/wiki/Gentilezza.
  2. Ibidem.

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