Ci sono concetti, idee, valori che fatichiamo ad esprimere nel modo in cui esprimiamo gli oggetti concreti: se voglio l’acqua, posso indicare l’acqua nel mare, nel fiume, alla fonte, nel bicchiere. Se voglio un bicchiere indico l’oggetto e così via. È così che si esprimono i bambini: imparano la connessione diretta tra ciò che desiderano e le cose.
Crescendo però ci si confronta sempre più con desideri e parti di sé che non ritrovano un riferimento oggettivo nel mondo. Ciò è dovuto in parte alla strutturazione complessa della società, ma in larga misura anche all’essenza stessa dell’essere umano, che per sua natura sviluppa dei bisogni più complessi e articolati.
Ogni cultura in ogni tempo ha espresso per esempio una certa spiritualità, ogni cultura ha dato vita a rituali per celebrare fasi della vita, per sancire vincoli morali o ideali, per scongiurare paure e disastri, per esprimere qualcosa che in natura non si vede, eppure c’è.
«Il simbolo presuppone che l’espressione scelta sia la migliore indicazione o formulazione possibile di un dato di fatto relativamente sconosciuto, ma la cui esistenza è riconosciuta o considerata necessaria. Un’espressione proposta per una cosa nota rimane sempre un mero segno e non costituirà mai un simbolo» [1]
Usiamo simboli per indicare ciò che conosciamo solo fino a un certo punto e li usiamo come si usa un aforisma: per esprimere molto di più di quanto si possa dire con una frase normale.
«Un simbolo va sempre al di là di colui che se ne serve e gli fa dire, in realtà più di quanto abbia coscienza di esprimere» [2].
Il simbolo nel tempo ha acquisito così tanta importanza da ricavarne un potere intrinseco. Il potere è evidentemente quello della suggestione: al nominare il simbolo, si scatena nell’immaginario e sul piano emotivo tutta una serie di emozioni. Dal momento però che il simbolo è condiviso e soprattutto dal momento che ciò che accade nel nostro cervello determina la realtà per la nostra psiche e per il nostro corpo, la suggestione non rende certo meno vero il simbolo.
«Il simbolo è realtà» [3].
Il simbolo ha tutta la forza della realtà, perché è reale dentro di noi. D’altronde anche i suoni e i colori sono creati dal cervello e non esistono in natura, eppure hanno un impatto molto forte sulla nostra psiche e sul nostro corpo. Dovremmo forse considerare l’impatto dei suoni e dei colori una mera suggestione?
In un certo senso sì e lo sapevano bene gli yogin quando parlavano del pratyahara, cioè la capacità di isolarsi dai sensi. In effetti se il suono è creato dal cervello, basterà “disattivare” il cervello o rompere quel collegamento tra il senso efferente e il cervello per non essere più disturbato dal suono.
Se creo tutto dentro di me, è dentro di me che devo cercare la soluzione per svuotarmi di tutto.
A una piano più comune, però, quello della vita quotidiana, i suoni entrano e producono le reazioni che devono. Lo stesso fanno i simboli. La “suggestione” è un suggerimento (dal lat. suggestio -onis, der. di suggestus, p. pass. di suggerĕre ‘suggerire’) e il simbolo è solo il tassello [4] che collega quel suggerimento alla nostra psiche.
Di suggerimento si tratta, perché di ciò che è parzialmente conosciuto possiamo solo suggerire un significato, un’idea, una spiegazione. La sua vera e completa Realtà ci rimarrà ignota ed è giusto che sia così.
«I simboli, pur appartenendo perfettamente al mondo reale, rimettono a una sfera superiore. Il simbolo avrà tanto più valore quanto più rimetta a tale sfera. Il ruolo del simbolo è di offrire alla sensibilità la chiave per comprendere il mondo spirituale» [4].
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La lezione “Un’esistenza necessaria”, in diretto rapporto con questo articolo, propone una sequenza basata sul valore simbolico degli āsana. Gli āsana, in quanto archetipi, vogliono dire molto di più di quanto non esprima la loro forma. La psiche lo sente ed è così che lo yoga riesce a lavorare a livello profondo.
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- “https://www.psychomedia.it/pm-thesis/ganzetti/7-simbolinpsic.htm#:~:text=Per%20Freud%20il%20simbolo%20consiste,elemento%20simbolico%20hanno%20in%20comune.
- Albert Camus, La speranza e l’assurdo nell’opera di Franz Kafka.
- Jane Roberts, Le comunicazioni di Seth.
- Si ricordi il significato etimologico di simbolo come “tessera” che veniva spezzata in due parti. Chi possedeva una parte poteva essere facilmente riconosciuto dal possessore dell’altra.
- Plinio Corrêa de Oliveira, citato in Tradizione Famiglia e Proprietà, anno 18, n. 53, Giugno 2012, p. 24.