Sempre più persone si rivolgono alla pratica yoga per risolvere problemi di stress o sentimenti di disagio. In molti casi lo yoga aiuta anche a risolvere conflitti interiori, perché insegna a guardarsi in maniera oggettiva. Accade allora che le persone che ottengono tali risultati pensino che chiunque dovrebbe praticare yoga, perché in fondo chiunque ha dei problemi o dei disagi, che disturbano in maniera più o meno incisiva la propria serenità.
Allo stesso modo chi ottiene ottimi risultati dalla psicoterapia, pensa che chiunque ne avrebbe bisogno, perché in fondo si tratta di conoscere se stessi e questo è utile per tutti.
Al di là della verità discutibile di questi pensieri, o meglio anche a voler partire da questi pensieri come un assunto dato per vero, rimane comunque una variabile di estrema importanza per la riuscita di queste “attività”: la relazione tra chi impartisce o insegna e chi riceve il trattamento o l’insegnamento.
«Lo psicanalista Michael Balint sosteneva l’importanza della relazione col paziente come principale forma di terapia, nel senso autentico di «cura», cioè della dedizione affettiva da parte del medico che diventa in tal modo lui stesso un farmaco» [1].
Non si tratta di determinare (o peggio ancora giudicare) se una persona è un bravo insegnante o un bravo terapeuta, ma di constatare se la comunicazione tra chi dà e chi riceve funziona. Non esistono assoluti, ogni persona è diversa e ogni persona risponde meglio a determinati stimoli piuttosto che ad altri.
Nel caso dello yoga, non solo ci sono tanti stili diversi, ma anche quando si tratta dello stesso stile, i modi di proporlo possono essere molto diversi. La diversità è determinata dal carattere dell’insegnante, dai suoi interessi primari, dalla sua preparazione e professionalità, dalla sua capacità di ascoltare e di empatizzare. Può comunque succedere che per quanto l’insegnante sappia ascoltare e comprendere, non riesca a far scattare quella scintilla che avvia il processo di guarigione nell’allievo.
«La terapia non consiste nel “parlare” di cose, ma nel cambiare la vita della persona e nell’alleviare la sofferenza, come depressione, ansia o problemi relazionali. Naturalmente l’empatia e la capacità di ascolto sono importanti all’inizio di ogni seduta, ma non sono sufficienti a cambiare la vita del paziente» [2].
I motivi per cui quella scintilla non si accende sono molteplici, più facilmente accade che: ci sono problemi di comunicazione (i due non parlano la stessa lingua, in senso letterale, ma più spesso in senso figurato); non è il momento giusto, per l’insegnante o per l’allievo o per entrambi; non c’è una vera volontà di “guarire” da parte dell’allievo.
Come la psicoterapia non è semplicemente “parlare” di cose, lo yoga non è (o non dovrebbe essere) semplicemente “fare” degli esercizi.
«La terapia funziona quando desideriamo conoscere noi stessi come siamo, non come vorremmo essere» [3].
Lo scopo dello yoga, per come è insegnato negli Yoga-sūtra di Patanjali (II sec. AEC- III sec. EC), ancora oggi considerato il riferimento principale dello yoga, è conoscere la propria vera natura, sapere chi siamo e come siamo. Questo obiettivo si pone al di là della conoscenza psichica, ovvero mira ancora più in alto dello scopo della psicoterapia, ha un fine spirituale/esistenziale. Per arrivare a tale fine deve comunque attraversare il terreno della psiche.
Vedere come siamo veramente non è qualcosa di accettabile per tutti. È un processo che comporta scardinare le proprie certezze, mettere in discussione le proprie idee, accettare i propri limiti, che sono in genere in netto contrasto con i propri ideali. Serve forza, coraggio ed energia per affrontare un percorso simile e in genere serve aiuto, perché è molto difficile intraprenderlo completamente da soli.
Nella psicoanalisi l’aiuto viene dal terapeuta, una figura preparata proprio per fornire questo tipo di supporto. Nel caso dello yoga la faccenda si fa un po’ più complicata.
Nella tradizione i maestri erano nella maggior parte dei casi dei “padri acquisiti”. L’allievo andava a vivere con il maestro, oppure entrava in un monastero, in genere per un periodo di almeno dodici anni. In questo tempo il maestro ancor più che insegnamenti tecnici, ancor più che “parlare” di cose, impartiva vere e proprie lezioni di vita. Gli insegnamenti più alti erano per prassi “donati” solo dopo il lungo periodo di apprendistato, che durava appunto una dozzina di anni.
Posto che la metodologia usata da tali maestri fosse accettabile [4], come accade in ogni fenomeno, anche la figura del maestro ha subito comunque “danni di immagine” per via di ciarlatani, profittatori, e narcisisti che creavano (e creano ancora oggi) rapporti di forte dipendenza.
Oggi, il problema non riguarda solo le figure “deviate” del maestro, ma anche la modalità con cui è praticato lo yoga da un secolo a questa parte, modalità assimilabile alla ginnastica.
Un istruttore preparato sul piano diciamo fisioterapico saprà dare buoni consigli per quanto riguarda il corpo proprio come sanno darne gli istruttori di Feldenkrais, Pilates o ginnastica posturale. Certi consigli a volte sono capaci di cambiare l’intera vita di una persona (si pensi ad un persona che soffre per abitudini posturali o alimentari sbagliate).
A volte cambiare alimentazione cambia anche la prospettiva su se stessi, su come ci si vede e magari fa scaturire un riflessione sul perché prima non si prestasse attenzione a certe cattive abitudini. Le vie per fare scoperte su di sé sono infinite.
Più difficile che un istruttore sappia individuare dei conflitti più profondi e indicare la via per risolverli. Ci sono naturalmente figure preparate anche sul piano psichico. Il valore archetipale degli āsana e le tecniche di meditazione costituiscono degli ottimi strumenti per indagare dentro di sé. Un insegnante esperto di meditazione saprà guidare l’allievo in un percorso interiore e far capire molto di sé all’allievo stesso.
Nell’era delle specializzazioni però, un insegnante di yoga fornisce già un grande servizio se riesce a capire almeno a grandi linea il problema della persona e a indirizzarla quindi a una figura più competente e specializzata.
Questo è a anzi il grande punto di forza di un insegnante di yoga oggi. Lo yoga vanta la caratteristica di considerare l’individuo su tutti i piani dell’esistenza [5], questo permette di avere una visione a tutto tondo della persona, che manca agli specialisti.
Quando un insegnante entra in comunicazione profonda con l’allievo, sa ascoltare e empatizzare, riesce a meritarsi la piena fiducia dell’allievo, allora saprà anche indirizzarlo verso gli esperti più adeguati per risolvere un determinato problema che sia fisico o mentale. Naturalmente intanto potrà impartirgli anche gli insegnamenti yoghici, il tutto senza rischio di creare dipendenze. Questo fa di lui un vero Maestro, perché lo scopo del Maestro dovrebbe essere che il suo allievo raggiunga la liberazione, moksha, che significa libertà da ogni condizionamento (incluso quello del Maestro stesso) e che è l’unico modo, secondo lo yoga, per eliminare la sofferenza. Il vero Maestro aiuta l’individuo a essere libero.

_____________________
La lezione “La relazione col paziente”, in diretto rapporto con questo articolo, propone una sequenza che è una sorta di dialogo con gli āsana. Ogni āsana ci dice qualcosa di noi e ci aiuta a capire un po’ di più noi stessi.
Abbonati a Patreon per provarla e vivere con il corpo il contenuto di questo articolo!
_____________________
- https://it.wikipedia.org/wiki/Terapia .
- David D. Burns, in: Ryan Howes “Seven Questions for David D. Burns” su psychologytoday.com, 7 gennaio 2009.
- Da Hannibal (serie televisiva).
- Si pensi alla crudezza dell’addestramento di Milarepa (rif. Vita di Milarepa, Adelphi, TO, 1966).
- Si veda il mio articolo “La luce nel cuore”.