La speranza è il fondamento del pensiero e in quanto tale motore dell’azione, scrivevo nel precedente articolo. Questa conclusione era frutto di una disamina dell’aspetto attivo della speranza, della pazienza attiva, ovvero di qualcuno che si dà da fare perché spera appunto in un futuro migliore. Se non ci fosse speranza di miglioramento, non ci sarebbe neanche azione. Chi sarebbe disposto a sforzarsi sapendo già che l’azione non ha alcuna possibilità di riuscita?
Tale ragionamento è logico e coerente, ma manca ancora un tassello affinché sia completo. L’idea di motore dell’azione non tiene conto della condizione psichica in cui si svolge l’azione stessa.
«Una volta presente, il bene è accompagnato dalla gioia; quando è atteso è accompagnato dalla speranza… come la paura è una sofferenza prima della sofferenza, la speranza è una gioia prima della gioia» [1].
La speranza ha una valenza fondamentale non solo sul futuro, ma anche e soprattutto sul presente. Non solo infatti ci porta ad agire, ma lo fa innescando un particolare stato d’animo, positivo, sereno, gioioso. Come dice la neuroscienziata Tali Sharot:
«La speranza mantiene viva l’intelligenza, riduce lo stress e migliora la salute fisica» [2].
I motivi di questi effetti benefici sono da ricercare proprio in quella gioia prima della gioia. Lo speranzoso non solo si mette in moto per migliorare il suo futuro, ma lo fa con entusiasmo, gioia, con spirito propositivo. Per questo lo sperare non è una debolezza, ma una forza, un qualcosa che apre l’individuo sul piano fisico, mentale e spirituale.
«L’importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che fallire. Lo sperare, superiore all’aver paura, non è né passivo come questo sentimento né, anzi meno che mai, bloccato nel nulla. L’affetto dello sperare si espande, allarga gli uomini invece di restringerli, non si sazia mai di sapere che cosa internamente li fa tendere a uno scopo e che cosa all’esterno può essere loro alleato. Il lavoro di questo affetto vuole uomini che si gettino attivamente nel nuovo che si va formando e cui essi stessi appartengono.» [3].
Si può pensare che questo entusiasmo, questa gioia derivi da un generico ottimismo. La speranza però è qualcosa di ben più attivo dell’ottimismo. Un ottimista non necessariamente si sforza per fare o migliorare le cose, perché in fondo pensa che sarà soprattutto un destino positivo a portare al lieto fine.
Chi spera invece agisce e si impegna molto sulla base di una convinzione, che non è certezza del risultato, ma certezza che così bisogna agire per poter appunto sperare di arrivare a un certo risultato.
Il fatto di non pervenire al risultato potrebbe dipendere da molti fattori, tra cui la limitatezza delle conoscenze al momento dell’azione. Questo però non costituisce senso di colpa, perché al momento dell’azione si è agito nella piena coscienza e al massimo delle nostre capacità.
Tutto questo si ritrova perfettamente incarnato nella disciplina del karma-yoga. In questo contesto lo yoga è definito come «karmasu kausalam», abilità nell’azione [4] e il punto principale della disciplina riguarda il “lasciare i frutti a Dio”. Ciò significa che la persona agisce in coscienza al meglio delle proprie capacità, senza particolari aspettative, ma soprattutto senza attaccamenti. Lasciare i frutti a Dio significa che non si pretende di poter determinare cosa produrrà una certa azione, ma agire in base al proprio sentire con la speranza di fare il meglio in quel momento.
Non attaccarsi ai risultati non significa non nutrire speranze per il futuro.
C’è una differenza sostanziale tra pensare a un futuro migliore e quindi agire in coscienza per quello e pensare invece a un futuro programmato come lo si desidera. Nel primo caso c’è un umile speranza, nel secondo un arrogante e illusoria presunzione. Nel primo caso si rimane tranquilli e ci si concentra attivamente sul presente, nel secondo si può andare incontro a ansia e impazienza per una mente proiettata solo nel futuro.
«Gli uomini spesso scambiano l’ambizione con la speranza. L’ambizione è il desiderio che le cose che fai si realizzino così come le vuoi; la speranza è la certezza che fare quelle cose abbia un senso comunque, indipendentemente da come finiranno, perché ci sono cose che vanno fatte solo perché è giusto e necessario» [5].
La serenità sta nell’azione incondizionata, la gioia è nell’azione colorata di speranza.

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La lezione “Una gioia prima della gioia”, in diretto rapporto con questo articolo, propone una sequenza che pone l’accento su come viviamo oggi le aspettative che abbiamo per il futuro, come ci poniamo oggi nel confronti del nostro corpo e delle sue possibilità future.
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- Filone, La posterità di Caino, a cura di C. Mazzarelli e R. Radice,, Milano 1984, 161, 163.
- Tali Sharot, neuroscienziata, da La forza degli ottimisti, Internazionale, n. 906, 15 luglio 2011, p. 48.
- Ernst Bloch, Il principio Speranza Premessa (In Eugenio Borgna, L’attesa e la speranza, Feltrinelli Editore, 2005, nota 23
- Bhagavad-gītā, II, 50.
- Michela Murgia, Noi siamo tempesta, Salani, 2000.