Cercando su Google la definizione della parola fermezza si trova: «una serena ed energica risolutezza» [1]. È una definizione curiosa, perché mette insieme due aggettivi che sembrano se non opposti, molto distanti come ambito semantico. Di solito ci immaginiamo una persona serena come molto mite, mansueta, mentre quella energica la vediamo attiva, intraprendente, talvolta persino dominante. In molti casi sono proprio questi costrutti estremi a impedire di trovare quell’equilibrio interiore che permette di essere appunto fermi. Andiamo però con ordine.
Nella definizione compare anche la parola risolutezza, a sua volta così descritta: «atteggiamento o abito di accentuata fermezza sul piano dei rapporti umani e del comportamento, per lo più connesso a una precisa visione degli scopi da raggiungere» [2]. Da qui capiamo che la fermezza e la risolutezza si giocano soprattutto nell’ambito dei rapporti umani, ma in realtà lo stesso atteggiamento lo si può trovare anche di fronte a una catastrofe naturale o di fronte alla perdita o al guadagno di beni materiali.
«Dhriti è preservare la fermezza della mente durante il periodo di guadagno o perdita di ricchezza o parenti» [3].
Il punto sembra essere duplice: da una parte c’è la capacità di rimanere saldi di fronte alle vicissitudini della vita, specie quelle che causano particolari scossoni nell’equilibrio abituale; dall’altra il fatto che questa capacità sia corroborata dall’avere uno scopo definito.
Nello yoga in effetti il termine dhrti lo si trova sempre in un contesto di precetti al fine di realizzare il samādhi. Sia nella Hatha-yoga-pradīpikā che nella Shandilya-upanishad è annoverata tra gli yama, che possono essere considerati appunto dei precetti, ma che sarebbe forse più corretto interpretare come modelli di atteggiamento. C’è uno scopo definito: la realizzazione spirituale. Niente deve dissuadere da questo obiettivo e qualunque cosa accada bisogna sapere gestire se stessi e le proprie emozioni in modo da non rischiare di abbandonare il percorso intrapreso a tal fine (il cosiddetto sādhana).
«Dhriti è la fermezza della determinazione in qualsiasi circostanza» [4].
Senza questa fermezza basterebbe molto poco per lasciar perdere, si pensi agli antaraya, gli ostacoli come riportati negli Yoga-sūtra: si va dalla malattia al dubbio, dalla negligenza alla mondanità [5]. La malattia e il dubbio mi scoraggiano, una vita sociale molto attiva mi distrae, dare per scontato alcune cose non mi permette di perfezionarmi.
Tanto maggiore è la convinzione nel voler raggiungere il proprio obiettivo, tanto maggiore è la fermezza interiore, la dhriti. Da qui però sorgono due quesiti di coerenza nell’ambito filosofico dello yoga: 1. Il saggio che ha raggiunto l’illuminazione, non dovrebbe non aver altri obiettivi? 2. E se avesse altri obiettivi, come può conciliare il suo avere obiettivi con i principi del karma-yoga?
Per il praticante devoto alla disciplina, l’unico obiettivo deve essere quello della realizzazione. Una volta raggiunta in effetti non c’è più niente che egli cerchi in particolar modo, perché comprende la rete del mondo e per questo ha sviluppato un distacco da tutto. La sua fermezza gli deriva proprio da questo distacco (paravairagya) se per fermezza si intende il non disperarsi di fronte alle disgrazie o il non esaltarsi di fronte alle vincite, se per fermezza si intende in sostanza la forza d’animo. Il saggio non si lascia turbare dalle proprie emozioni o perlomeno non al punto da modificare il proprio comportamento.
Il saggio però è un illuminato che continua a vivere e che è inserito nel gioco del mondo come tutti gli altri. Essendo nel mondo, egli deve agire perché nessuno al mondo può sottrarsi all’azione (lo stare fermi è pur sempre un’azione che ha delle conseguenze!).
Agire significa scegliere, e siccome agiamo costantemente, scegliamo costantemente.
Ora, il principio del karma-yoga è di agire in coscienza, ovvero senza nutrire particolari aspettative, ma “lasciando i frutti a Dio” come si è soliti dire nell’ambito di questa disciplina. Questo non significa che non ci sia una scelta e per operare una scelta occorre sempre proiettarsi almeno un minimo nel futuro. Vivere nel presente e agire in coscienza non significa infatti non considerare le possibili conseguenze delle proprie azioni.
Si sceglie e si agisce in coscienza, pensando che, con le conoscenze e le competenze che si hanno in quel momento, quella fatta sia la scelta migliore, quella che ci farà dormire sonni tranquilli (o almeno più tranquilli!). È chiaro che non possiamo avere la certezza che le conseguenze saranno quelle previste, i fattori nella vita sono troppo numerosi e imprevedibili per tenerli in mente tutti. Qualunque sarà il risultato avremo la coscienza a posto, perché abbiamo fatto il massimo o il meglio che potevamo fare.
Questo è il karma-yoga.
Tornando al saggio, egli sceglie, come tutti, in base a un proiezione. La sua proiezione gli deriva dalla sua saggezza e conoscenza e in questo è fermo e deciso. La sua proiezione è in un certo modo il suo obiettivo. Può non avere tutte le conoscenze necessarie (la conoscenza infinita dell’illuminazione non è una conoscenza universale di nozioni), ma ha la saggezza per capire cosa può permettersi di fare, dove può permettersi di andare. Per questo sa scegliere e per questo, come scrivevo qualche mese fa [6], il saggio ha una sua eleganza!
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La lezione “Dhriti”, in diretto rapporto con questo articolo, propone una sequenza dedicata alla dhriti come fermezza e forza d’animo.
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- Definizione da Oxford Languages (dizionario Google).
- Ibidem.
- Shandilya-upanishad, 1.1, traduzione a cura di by K. Narayanasvami Aiyar (mio adattamento dall’inglese).
- Shandilya-upanishad, 1.1, traduzione a cura di Parama Karuna Devi.
- Yoga-sūtra, 1.30.
- Cfr. articolo “Saper scegliere“.