Nell’articolo precedente sostenevo come la dhriti, la determinazione vista come capacità di rimanere saldi in qualsiasi circostanza, è corroborata dall’avere uno scopo definito. Ho discusso anche del fatto che questo avere uno scopo si può conciliare serenamente con i principi del karma-yoga, secondo cui non bisogna aspirare ai frutti della propria azione. Questa analisi prende in considerazione un punto di vista che poggia le sue basi nel futuro, sia esso immediato o lontano. Ho scritto infatti che la proiezione sul futuro è necessaria per operare una scelta nel presente.
Tale scelta dovrebbe essere presa nel pieno della consapevolezza, consci delle proprie capacità e condizioni presenti, di cosa si può e non si può fare, al di là dei risultati. Questa consapevolezza dovrebbe tener conto anche della propria situazione emotiva e mentale.
«Ascolta ora , o conquistatore delle ricchezze, mentre ti descriverò nei particolari i tre tipi di intelligenza e di determinazione, secondo le tre influenze della natura materiale» [1].
La Bhagavad-gītā è il testo che meglio e forse più di ogni altro dedica spazio ai cosiddetti guna e a come questi influenzino il mondo e il modo in cui viviamo. I guna sono le modalità in cui la natura, tutta dal più piccolo atomo alla più complessa struttura, si manifesta. Il modo più semplice per capirlo è proprio osservando le particelle: due particelle possono trovarsi l’una rispetto all’altra in una situazione di inerzia (stasi), oppure muoversi caoticamente o ancora muoversi in maniera sincrona e armonica così da formare un onda. Queste modalità nello yoga sono chiamate rispettivamente tamas, rajas e sattva.
Ogni cosa nel mondo, noi inclusi, è soggetta a queste modalità, con tutte le sfumature che possono esserci tra una e l’altra. Quando dormiamo in noi prevale il tamas, quando corriamo o lavoriamo attivamente prevale il rajas, quando meditiamo prevale il sattva. Può accadere che sogniamo e ci agitiamo in un misto di tamas e rajas o che lavoriamo attivamente e velocemente ma con serenità e senza ansia in un misto di rajas e sattva.
Definire un confine preciso tra le tre condizioni non è facile. Si potrebbe dire per esempio che lavorare serenamente e anche senza fretta è sattva, ma tutto dipende dalle condizioni interiori (magari non c’è fretta perché c’è troppo sonno!). Persino sul cibo, anch’esso diviso nelle tre categorie, ci sono divergenze: c’è chi dice che la cioccolata è rajas d’estate, ma sattva d’inverno!
Quello che cambia è dunque soprattutto una condizione interiore, fisica e mentale, che spesso, ma non necessariamente, è ben percepibile anche da fuori: la persona appare calma, serena e allo stesso tempo vigile ed efficiente, sa quando riposare e sa quando agire. Una condizione più o meno perenne di sattva dovrebbe corrispondere a qualcosa del genere.
Lo yogin ha come scopo il raggiungimento di questa condizione, perché il sattva è la modalità di esistenza che più si avvicina alla vera natura dell’uomo, alla sua natura prettamente spirituale. L’ulteriore passaggio che dovrà fare lo yogin sarà di imparare a discernere il sattva dal purusha, dallo spirito, perché per quanto simile allo spirito, il sattva è qualcosa sempre legato alla manifestazione, alla materia, mentre la natura spirituale trascende la materia.
Torniamo però al piano terreno: sattva è una condizione conveniente, perché è quella che comporta minor sofferenza, più serenità e più equanimità. La Bhagavad-gītā, come già detto, dedica molto spazio a distinguere le influenze dei tre guna in vari ambiti o aspetti della vita, tra cui anche dhriti.
La determinazione, si dice nel testo, si può declinare in maniera diversa a seconda dei tre guna, cosa che in pratica si traduce come una declinazione diversa a seconda della motivazione da cui la determinazione stessa è spinta.
«O figlio di Prithā, la determinazione che non si può spezzare, sostenuta con fermezza dalla pratica dello yoga e che domina la mente, la vita stessa e le attività dei sensi, è sotto l’influenza della virtù» [2].
Ho mantenuto la traduzione della versione inglese di Swami Prabhupāda, ma è chiaro che quella “virtù” è il sattva. Tradurre sattva con virtù è discutibile, d’altronde si tratta di tradurre un concetto che nella nostra lingua non esiste.
«Ma la determinazione con cui si ricerca fortemente qualche interesse personale nella religione, nello sviluppo economico e nella gratificazione dei sensi, o Arjuna, è sotto l’influenza della passione» [3].
Passione è la parola scelta dall’autore per tradurre rajas, ma di nuovo è un po’ limitante.
«E la determinazione che non può condurre oltre il sogno, la paura, i lamenti, la tristezza e l’illusione, questa determinazione inutile è sotto l’influenza dell’ignoranza» [4].
Infine l’ignoranza è il modo di esprimere il tamas.
Ora, ricapitolando la determinazione è corroborata da uno scopo, ovvero qualcosa che voglio ottenere nel futuro. Essa è però condizionata dalla condizione presente, che a sua volta è definita dai tre guna, che influenza il corpo, la mente e l’ambiente in cui ci muoviamo.
Se la condizione presente è armoniosa, sana, equilibrata, serena, anche la proiezione sul futuro è più lucida, equanime, incondizionata, così sarà la scelta e così la determinazione nel perseguirla. Come recita il verso della Gītā citato sopra, tale armonia è “sostenuta” dalla pratica dello yoga.
È proprio a questo che serve lo yoga: a garantire e mantenere una serenità presente, che a sua volta diventa garanzia per una serenità futura.
Se invece la condizione presente è dominata dalle emozioni, dall’ego, dagli interessi, sarà molto difficile agire secondo i dettami del karma-yoga, ovvero senza attaccamento ai risultati. Questo genera non solo ansia e frustrazioni dovute rispettivamente alle aspettative e agli eventuali fallimenti, ma una determinazione che rischia di sfociare nell’ostinazione, perché si vuole quel risultato a tutti i costi. Una volontà così ostinata è una volontà che non tiene conto di eventuali aggiustamenti, che rischia di non adattarsi alle circostanze, che non sa discernere e non sa accettare un’eventuale rinuncia.
Infine quando la mente al presente è obnubilata dall’ebbrezza, dai sogni, dalle illusioni, da false convinzioni, la determinazione con cui si persegue lo scopo rischia di portare in una voragine di ulteriore tristezza, depressione, angoscia e sofferenza, perché la realtà non è stata valuta correttamente e oggettivamente.
In conclusione dhriti è uno dei niyama, uno dei precetti, per diversi testi dello yoga e come tale un aspetto del carattere da coltivare. Come per tutti gli altri precetti, esso però deve essere accompagnato da una cognizione sana, lucida e oggettiva. Solo così esso diventa utile al fine di un miglioramento della propria e magari anche dell’altrui esistenza.
«I tre elementi essenziali per ottenere qualsiasi cosa valga la pena avere sono: primo lavoro duro, secondo, determinazione, e terzo, buonsenso» [5].
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La lezione “I tre tipi di determinazione”, in diretto rapporto con questo articolo, propone una sequenza che vuole essere una riflessione sui tre tipi di diritti e su cosa fa muovere la nostra determinazione.
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- Bhagavad-gītā, 18.29.
- Bhagavad-gītā, 18.33.
- Bhagavad-gītā, 18.34.
- Bhagavad-gītā, 18.35.
- Frase attribuita a Thomas Edison.