“Siamo ciò che mangiamo” suona come una frase fatta, un luogo comune, ma è oggettivamente una verità. È il cibo ciò che va a costituire il nostro essere: col cibo ci formiamo, ci preserviamo e ci curiamo.
«Tutti gli esseri sostenuti dalla terra sono nati dal cibo, vivono di cibo e alla fine ritornano a essere cibo. Il cibo nacque prima della nascita delle creature, perciò è considerato la medicina suprema. Coloro che onorano il cibo come Brahman ottengono cibo in abbondanza. Poiché il cibo esiste da prima delle creature ed è medicina per tutti, tutte le creature nascono dal cibo e crescono con il cibo. Il cibo viene mangiato e mangia le creature, perciò è chiamato ‘mangiare’.» [1].
Resta da vedere se quella frase può essere estesa, come spesso si vuole intendere, a indicare che la qualità del cibo che mangiamo determina non solo lo stato del nostro corpo fisico, ma anche il nostro stato mentale. Le estensioni di questa teoria variano sensibilmente: dal ritenere che una dieta troppo alcalina o troppo ricca di zuccheri tenda a rendere l’individuo troppo “per aria”, troppo mentale e poco radicato; al pensare che chi mangia molta carne e formaggi abbia uno spirito più aggressivo; fino all’idea che chi mangia cibi in scatola o processati abbia una mente meno lucida, meno “fresca” come il cibo che mangia. Gli esempi potrebbero essere molti altri.
Naturalmente si tratta solo di supposizioni che vanno ad appoggiare l’una o l’altra teoria dietetica, più o meno alternativa. C’è però un appoggio storico a favore di tali idee e lo si ritrova nei testi medievali indiani, in particolare nei testi tantrici e nelle Upanishad dello Yoga.
«Quando si mangia il cibo, questo si divide in tre parti: quella più grossolana diventa escrementi, quella mediana diventa carne, e quella più sottile diventa sostanza mentale. Così l’acqua bevuta diventa rispettivamente urina, sangue e prana. Il fuoco consumato diventa ossa, midollo e facoltà di parola. Così la mente è prodotta dal cibo, il prana dall’acqua, e la parola dal fuoco» [2].
Nella filosofia yoga si ritiene dunque che le diverse parti del cibo formano le diverse parti di noi e che la mente stessa è data dalla parte più sottile. Non è chiaro se questa parte sottile sia la parte più nobile o più vitale del cibo. Di sicuro sappiamo che già testi precedenti sconsigliavano vivamente di mangiare cibo riscaldato più di due volte, cibo stantio, ecc. , come a dire: il cibo “morto” non può più nutrire. Di fatto il cibo stantio può magari nutrire ancora il corpo, ma evidentemente si riteneva che perdesse quella parte sottile che sarebbe andata a costituire il cibo per la mente.
È probabile dunque che si intenda che quella parte sottile sia contenuta in cibo fresco, non processato e non riscaldato più volte.
Una volta stabilita la parte sottile, occorre considerare anche la natura di quella sottigliezza: sattvica, rajasica o tamasica.
Una carne può essere fresca, ma sarà comunque considerata tamas, ovvero che rende la mente indolente. Il caffè potrà essere anche appena torrefatto, ma sarà comunque rajas, eccitante. Così la mente sarà rispettivamente indolente o eccitata a seconda di ciò che arriva dal cibo e quanto più fresco sarà il cibo ingerito, tanto più facilmente questi effetti si sentiranno sulla mente. Lo yogin cercherà cibo sattvico, equilibrato per avere una mente equilibrata, né indolente né eccitata.
Da tutto questo si deduce che il livello di consapevolezza cercato e accresciuto dalla pratica yoga, si estende anche a ciò di cui ci nutriamo. Lo yogin è perfettamente consapevole dell’influenza che ciò che mangia ha sul proprio corpo e sulla propria psiche e si comporta di conseguenza, scegliendo i cibi più adatti alle proprie pratiche e cucinando e mangiando nella maniera più consona alle proprie pratiche.
Il cibo viene inoltre omaggiato, perché se ne comprende l’enorme importanza: nessuna attività dello yogin sarebbe possibile senza il giusto apporto di cibo.
Non solo, una volta raggiunto lo stadio finale dello yoga, la realizzazione spirituale, lo yogin acquisisce l’ultima più grande consapevolezza: l’essere parte del tutto. Come tale, come parte del tutto, non solo il cibo lo attraversa per rendergli l’energia di cui necessita, ma infine lo trasforma, rendendolo cibo a sua volta, come parte del normale ciclo della natura.
«Dopo aver praticato la meditazione, Brighu comprese che il cibo è Brahman, perché è dal cibo che gli esseri nascono, dal cibo sono sostenuti durante la vita, dal cibo sono attratti e al cibo ritornano» [3].
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La lezione pratica di hatha-yoga “La medicina suprema”, in diretto rapporto con questo articolo, vuole ricordarci ciò di cui siamo fatti e come siamo fatti.
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- Taittirya-upanishad, 2.3.1.
- Chandogya-upanishad, 6.5.1-4.
- Taittirya-upanishad, 3.2.1.