La ricerca della verità ossessiona noi occidentali molto più che altre culture. Vogliamo attestare la verità nella scienza, vogliamo attestare la verità in un caso giudiziario, vogliamo attestare la verità nella religione. Naturalmente l’attestazione della verità è qualcosa di così complesso che nella maggior parte dei casi ci accontentiamo di una soluzione che ci renda appagati e che spesso corrisponde a una presa di posizione. Questo ci rende quieti e ci permette di barcamenarci nella nostra routine sociale. È per forza di cose un sistema fallace, perché basterà una larga contestazione di quella verità scelta a mettere in crisi l’intera società. È ciò che succede oggi con i vari complottismi, che non a caso sono spesso strumentalizzati a livello politico per destabilizzare e di conseguenza indebolire interi governi.
Può essere allora interessante cercare di capire dove sta la falla e in questo può aiutarci il linguaggio stesso.
«La parola greca aletheia viene da lanthano, “coprire”, e, preceduta dall`alfa privativo, sta a designare ciò che si scopre nel giudizio. Il termine latino veritas proviene invece dalla zona balcanica e slava e, secondo il suo significato originario, vuol dire “fede” (per questo l`anello nuziale si può chiamare “fede” o “vera”» [1].
La nostra lingua ha preso tante parole dal greco antico. Eppure quando si tratta della “verità” la religione ha evidentemente giocato un ruolo cruciale, perché i testi greci sono stati tradotti in latino con il termine veritas che ha tutta un’altra derivazione. Il nostro modo di vedere la verità è effettivamente ancorato alla fede, che è poi un altro modo per definire una presa di posizione. Di fatto se estendiamo il concetto di fede all’idea di fiducia, la verità nella scienza per esempio diventa una grande fiducia nella scienza, per cui prendo per vero ciò che la scienza mi dice.
La fiducia è un sentimento positivo e infatti aiuta a mantenere una certa quiete e soprattutto una certa perseveranza: senza la fiducia non si porta avanti alcun cammino, alcuna conoscenza. Il punto è come si esplica questa fiducia e se in essa si può collocare il beneficio del dubbio. Rimanendo intanto in ambito scientifico, la peculiarità degli scienziati è proprio il mettere in dubbio le scoperte passate e presenti per aprirsi a nuove prospettive. In questo caso la fiducia è nel metodo più che nei contenuti.
Se la fiducia fosse solo nei contenuti, si avrebbe la situazione raccontata nella storiella di Anthony De Mello: c’era una volta un ragazzo bravissimo in matematica, che non diventò mai un matematico perché credeva ciecamente nelle soluzioni che il libro di matematica gli forniva.
Nel caso del mancato matematico parliamo di “verità di fatto”, nel caso dello scienziato che crede nel metodo senza fermarsi nella ricerca parliamo di verità di ragione come la chiama il filosofo Francesco Adorno:
«La verità di fatto è ciò in cui io assumo talmente fede, per cui lo assumo come vero senza nessuna riflessione critica, mentre l’altra verità è la verità di ragione, per cui è sufficiente la ragione, la verità logica scaturendo attraverso il saper pensare. Si scopre la condizione che permette di definire la cosa e quindi diventa vera nel giudizio, nel logos, nel ragionamento che lo viene determinando» [2].
La verità di ragione è il modo in cui Adorno traduce aletheia, il concetto dell’antica Grecia che è un disvelare. La ricerca nell’antica Grecia, da cui deriva la ricerca filosofica e scientifica della tradizione occidentale, è molto più vicina al concetto induista di māyā che a quello latino di fede.
La māyā è il velo dell’illusione. L’intera realtà manifesta è considerata illusoria tanto più che è transeunte, mentre noi ci comportiamo nei suoi confronti (e nei confronti della nostra stessa esistenza) come se potesse durare per sempre. Il ricercatore a caccia di verità è allora la persona che riesce a squarciare il velo di māyā e vedere la Realtà per come è veramente. Per la filosofia indiana costui è il mistico più che lo scienziato, ma le due figure non sono poi così lontane.
Anche il mistico prima di arrivare alla Verità ultima, ha bisogno di allenare la mente e aprire i propri orizzonti conquistando piccole o grandi verità pertinenti al mondo materiale.
Ne sono testimoni gli Yoga-sūtra, testo in cui si consigliano meditazioni su vari elementi o oggetti perché solo così comprendendo un oggetto dopo l’altro si può destrutturare la realtà illusoria. Detto in altri termini: solo facendo un buchino alla volta, si rende infine il velo di māyā così debole da poterlo squarciare.
Per la nostra vita terrena e soprattutto sociale è fondamentale stabilire una certa verità, così come è fondamentale mantenere la fiducia, altrimenti l’intero sistema crolla. Attenzione infatti a non pensare il crollo del sistema come lo squarciare il velo di māyā: sono due piani completamente distinti e portano conseguenze diametralmente opposte. Nel primo caso il dissesto della società e lo spaiamento delle persone, nel secondo l’illuminazione dell’individuo e eventualmente (se mai esistesse una società in cui tutti sono illuminati) la creazione di una società pacifica e cooperante.
Dunque ci sono due piani: la verità di ragione, che mi permette di capire il mondo manifesto e che è in continuo aggiornamento, perché la vita manifesta si muove e cambia di continuo e perché i livelli di scoperta sono plurimi e complessi; poi c’è la verità mistica, l’esperienza di liberazione e illuminazione, che paradossalmente non mi lascia alcuna veritas, perché è al di là delle definizioni date dalle stesse religioni e perché non mi lascia niente da far credere necessariamente a qualcun altro.
Non sono due verità facili: nella prima è richiesto impegno e senso critico, nella seconda è richiesto l’abbandono anche del minimo senso di certezza, l’apertura totale e totalizzante all’ignoto.
«La verità è per noi [filosofi] perenne, infinito movimento. […] Scorgere la verità è la dignità dell’uomo. Solo attraverso la verità diveniamo liberi, e solo la libertà ci rende pronti incondizionatamente per la verità» [3].

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La lezione pratica di hatha-yoga “Aletheia”, in diretto rapporto con questo articolo, vuole far confrontare se stessi con i diversi concetti di verità.
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- https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2019/01/Francesco-Adorno-aletheia-e-veritas-Aforismi-a6f9fa9b-a71a-4e1e-b212-137cde71903c.html
- Ibidem.
- Karl Jaspers, Piccola scuola del pensiero filosofico, Ed. SE, 1968.