Abituati, come siamo, a pensare allo yoga come a una disciplina per il benessere fisico e mentale, un toccasana per lo stile di vita moderno, è difficile trovare una connotazione pragmatica per il concetto di brahmacharya. Sappiamo che lo yoga nasce come percorso mistico-spirituale, ma abbiamo ormai appurato che all’interno di questo percorso si ritrovano innumerevoli vantaggi per la salute. Più arduo è pensare che un principio che invita alla continenza e che viene spesso tradotto con l’idea di castità, possa avere un qualche vantaggio nella vita di tutti i giorni e di tutte le persone.
«Brahmacharya rappresenta il più alto livello di autocontrollo, un’intensa disciplina mentale e spirituale di controllo dei sensi per raggiungere la liberazione. Comprende la rinuncia ai desideri per i piaceri mondani temporanei per focalizzare se stessi verso obiettivi religiosi» [1].
La società consumista in cui viviamo è in perfetta antitesi con il principio del brahmacharya, che non promette la capacità di adattarsi al meglio alla società, ma piuttosto invita a fare un passo indietro rispetto ad essa. D’altro canto fare un passo indietro non significa arretrare, ma contemplare una visione più ampia e completa: si fa un passo indietro per ammirare un quadro nel suo insieme, si fa un passo indietro per passare dal particolare al generale.
Una visione più ampia è una visione più distaccata e oggettiva, una visione che permette di conoscere di più, perché accoglie più elementi nel proprio radar.
È questa visione distaccata che ci permette dunque di accrescere la conoscenza e, maggiore è la conoscenza, migliore, più precisa ed efficace sarà l’azione.
«La Tattva Vaisharadi e lo Yoga Sarasangraha affermano che il brahmacharya porta a un aumento di jñana-shakti (potere della conoscenza) e kriya-shakti (potere dell’azione)» [2].
Agire in maniera più efficace significa non sprecare energie in un circolo virtuoso che parte da un’intenzione e da uno sforzo e che poi si autoalimenta in maniera spontanea, perché il benessere e la soddisfazione che ne derivano sono tangibili e ogni volta rafforzano l’intenzione.
Certo, lo sforzo iniziale non è semplice da attuare. Il brahmacharya non è una condizione semplice da perseguire, tanto che si parla di esso come sinonimo dello yoga stesso. Si tratta anzi spesso di portare avanti una vera e propria lotta interiore. Risultare vincitori in questa lotta significa acquisire un’enorme forza interiore e di conseguenza una grande stabilità. È questa il vero vantaggio di brahmacharya e ciò per cui vale la pena conseguirlo.
«L’ascesi è un esercizio del sé su sé stesso; è una sorta di combattimento corpo a corpo dell’individuo con se stesso, in cui l’autorità, la presenza e lo sguardo altrui sono, se non impossibili, almeno inutili» [3].
Come ciascuno degli yama e dei niyama, il brahmacharya non è un comandamento imposto dall’alto, non lo si persegue per senso del dovere, per etica o morale. Si tratta di qualcosa che ha a che fare solo ed esclusivamente con se stessi e con la capacità di elevarsi a un piano non tanto più spirituale, ma più umano, dove l’uomo considera se stesso capace di ragionare, andare al di là degli istinti e capire come comportarsi per il bene proprio e di tutti gli altri.
«La vita senza il brahmacharya mi appare insipida ed animalesca. L’individuo di natura brutale non conosce auto-controllo, invece l’uomo è tale perché è capace di auto-controllo e in quanto lo pratica» [4].
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La lezione pratica di hatha-yoga “Il più alto livello”, in diretto rapporto con questo articolo, è una sequenza dedicata alla pratica del brahmacharya come forma di rafforzamento interiore e ampliamento della conoscenza.
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- https://en.wikipedia.org/wiki/Brahmacharya
- Ibidem
- Michel Foucault, Security, Territory, Population: Lectures at the Collège de France 1977-1978.
- Mahatma Gandhi, La mia vita per la libertà, ed. Newton Compton, 2014.