Resistenza attiva
Per quanto il concetto di nonviolenza sia stato promulgato con più veemenza in un preciso contesto politico, cioè l’India prima dell’Indipendenza, si è spesso propensi a considerare il valore spirituale e quasi di buonismo della nonviolenza piuttosto che la sua forza sociopolitica.
«La nonviolenza (dal sanscrito ahimsā «non violenza», «assenza del desiderio di nuocere o uccidere o fare male») è un metodo di lotta politica che consiste nel rifiuto di ogni atto di violenza (in primo luogo proprio contro i rappresentanti e i sostenitori del potere cui ci si oppone), ma anche disobbedendo a determinati ordini militari (obiezione di coscienza) o altre norme e codici, articolando la propria azione nelle forme della disobbedienza, del boicottaggio e della non-collaborazione (resistenza nonviolenta)» [1].
In tutti i campi educativi si sconsiglia di usare la forma negativa per inculcare un concetto. È famoso l’esempio dell’elefante: di fronte all’affermazione “non pensare a un elefante”, la prima cosa che verrà alla mente sarà proprio l’immagine di un elefante. È come se il nostro cervello non fosse in grado di registrare la negazione.
Forse c’è anche questo alla base della scelta di togliere il trattino dalla parola non-violenza: in questo modo la parola diventa non la negazione di qualcosa, ma l’affermazione di un concetto ben preciso.
«In Italia è stato Aldo Capitini, fondatore del Movimento Nonviolento, a proporre di scrivere la parola senza il trattino separatore, per sottolineare come la nonviolenza non sia semplice negazione della violenza bensì un valore autonomo. D’altra parte, già l’espressione “resistenza passiva” non veniva condivisa da Gandhi, che preferiva parlare della non-violenza come di una “resistenza attiva” contro il male» [2].
Se è vero, come sostenevo nello scorso articolo, che il precetto di ahimsā nasce da un’esigenza di purezza, di non contaminazione, è vero anche che si è evoluto comunque sulla strada della spiritualità. Gandhi lo ha trasposto nella lotta politica, ma Gandhi cercava anche di condurre una vita quanto più possibile votata alla spiritualità. Lo stesso concetto di karma-yoga implica la possibilità di conciliazione.
Karma-yoga non significa non agire, tutt’altro: è l’agire in maniera incondizionata, secondo quanto dettato dalla propria coscienza, senza alcun fine egoistico. Togliere l’egoismo dall’azione significa agire sentendosi parte del tutto, pensando al bene di tutto e tutti.
Il karma-yoga implica il non aver bisogno di niente, né sul piano fisico né su quello psichico.
La persona che agisce in coscienza, senza fini egoistici, è di per sé una persona appagata. La persona appagata non ha bisogno di agire né tantomeno di reagire con la violenza, perché non si sentirà mai profondamente offeso dall’azione altrui, sia essa un’azione fisica o verbale. Infatti, se ci si fa caso, le nostre reazioni sono sempre risposte mescolate con le emozioni e le emozioni sono scatenate da fattori intrinsechi come memorie e vissuti personali. Quando la persona ha fatto pace con se stessa e con il propio passato, le emozioni che scaturiscono sono più morbide, più consapevoli, più pacifiche.
Inoltre una volta compreso il proprio rapporto con le emozioni più profonde, con i vissuti più profondi, è più facile comprendere anche le difficoltà altrui. Ciò significa che si diventa più ematici, più compassionevoli.
Questa dovrebbe essere la base di ahmisā come principio spirituale: non un comandamento d seguire dogmaticamente, ma una compassione profonda nata dalla consapevolezza delle dinamiche umane. Tale approccio può poi essere esteso su un piano sociale.
Applicando ahimsā nel sociale si dimostra che la vecchia legge “occhio per occhio” dà solo adito a sempre più violenza, mentre la resistenza attiva può cambiare drasticamente il modo di vedere le cose e portare l’intera umanità a un piano più alto di comprensione, consapevolezza e felicità.
«La nonviolenza attiva è un metodo di azione e uno stile di vita. Questo metodo di azione, secondo l’Umanesimo universalista, coniuga la coerenza interna del pensare, sentire e agire nella stessa direzione, con la coerenza sociale di trattare gli altri nel modo in cui si vorrebbe essere trattati. È una pratica che permette all’essere umano di esprimersi e realizzarsi pienamente, di superare la sofferenza in sé e negli altri, registrando una profonda sensazione di leggerezza, libertà e felicità» [3].

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La lezione pratica di hatha-yoga “Nonviolenza”, in diretto rapporto con questo articolo, esplora il proprio rapporto con l’idea di nonviolenza.
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- https://it.wikipedia.org/wiki/Nonviolenza .
- Ibidem.
- Ibidem.