ARTICOLO  – Rubare è un bisogno!

ARTICOLO – Rubare è un bisogno!

Rubare è un bisogno!

 

Come per aparigraha, anche la parola asteya comincia con una a privativa e il suo significato si capisce quindi attraverso ciò che nega. A differenza però di aparigraha, dove il termine parigraha presentava diverse sfumature, qui il significato è inequivocabile: steya significa rubare e dunque asteya è non rubare.

Questa unicità semantica non impedisce tuttavia di ampliare il ventaglio dell’applicazione di asteya inteso come yama, come precetto dello Yoga. Si potrebbe infatti essere indotti a pensare al non rubare come a un mero atto fisico, ma asteya è invece qualcosa di più profondo:

«La pratica dell’asteya richiede che non si debba rubare, né avere l’intenzione di rubare, la proprietà di un altro attraverso azioni, parole e pensieri» [1].

È un atteggiamento mentale che si deve coltivare, perché il pensiero conta quanto l’azione ai fini del percorso yoghico. Tali fini riguardano l’ottenimento di una condizione mentale totalmente serena e appagata, soddisfatta per ciò che si è e si ha, senza bisogni né desideri.

Proprio questo è il punto chiave di asteya: il desiderio. Asteya è la prova empirica del proprio grado di vairagya, di distacco. Si può pensare di aver raggiunto il distacco, salvo poi trovarsi in situazioni dove un piccolo “furto” ci dimostra il contrario. Il lettore potrà pensare di sé che è una persona integerrima e che non ha mai rubato in vita propria. Naturalmente è possibile, ma è plausibile anche il contrario, ovvero che almeno qualche volta nella vita lo abbia fatto, più o meno coscientemente.

Per seguire questo ragionamento basta pensare a come si applica steya, il rubare, a vari piani. Sul piano materiale magari è capitato di salire su un autobus senza biglietto oppure di non pagare la tariffa minima di un parcheggio o di parcheggiare in seconda fila (che è un rubare un pezzo di strada agli altri a proprio beneficio).

Si potrà obiettare che si tratta di “furti” irrisori, ma al di là del giudizio, che rientra nella sfera personale della propria morale, dal punto di vista yoghico hanno lo stesso effetto. Se non pago il parcheggio, perché devo lasciare l’auto solo cinque o dieci minuti, è probabile che in quel tempo o almeno verso la fine di quel tempo, io avverta preoccupazione o agitazione o che cerchi di fare le cose in fretta, in maniera concitata. Se anche sono una persona che si disinteressa della multa o estremamente ottimista riguardo al non prenderla, difficilmente riuscirò però in quei dieci minuti a vivere un’esperienza di concentrazione profonda.

Perché questo è e cerca lo Yoga: la concentrazione profonda.

Allora si penserà che basta evitare di “rubare” quando dobbiamo fare yoga e tant’è, è già una buona strategia! Il punto è che non è così facile e il livello di intromissione di asteya nelle nostre vite può essere molto più invalidante. Lo diventa quando si ruba con le parole per esempio. Quante volte in un litigio si vuole avere l’ultima parola? Quante volte il nostro egocentrismo non ha permesso ad altri di esprimersi? Quante volte abbiamo rubato la scena a qualcun altro? Di nuovo si potrà pensare che non capiti spesso ed è augurabile, solo che capita magari inconsciamente. Capita o è capitato perché magari si hanno o si avevano dei bisogni, bisogni di essere ascoltati, considerati, amati.

Di nuovo asteya diventa il termometro dei nostri bisogni.

Lo stesso si può dire dell’intenzione. Avere l’intenzione di non pagare il biglietto dell’autobus o di prevaricare in una discussione non è lo stesso che farlo effettivamente. Ci si può frenare, controllare, si può ragionare. Se però abbiamo bisogno di ragionare, di dirci interiormente “non è cosa appropriata da fare”, significa che a livello profondo ancora siamo soggetti a dinamiche interiori, che nascondono desideri, che nascondono bisogni.

Ho scritto e detto più volte che lo yoga è un percorso di purificazione, dal piano più grossolano a quello più sottile e profondo. Praticando asteya facciamo un’altra opera di purificazione. Si tratta di osservarsi continuamente e andare a ripulire quelle dinamiche, maturare interiormente fino a raggiungere un vero distacco, fino a non aver più bisogno di rubare niente, perché non si ha più urgentemente, profondamente, bisogno di niente.

«La fortuna che uno si acquista è in proporzione con i bisogni che uno si crea» [2].

 

asteya
Natavara-āsana riproduce la classica iconografia di Krishna mentre suona il flauto. Natavara letteralmente significa i primo attore, il protagonista principale. Mi capita o mi è capitato di rubare la scena a qualcuno?

 

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La  lezione pratica di hatha-yogaAsteya”, in diretto rapporto con questo articolo, presenta una sequenza dedicata al senso di asteya.

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  1. https://en.wikipedia.org/wiki/Achourya
  2. Honoré de Balzac, Trattato della vita elegante, Piano B edizioni.