Asteya è il termometro dei nostri bisogni, ho scritto nello scorso articolo. In questo senso essa si pone, come principio yoghico, molto vicino all’idea di vairagya, il distacco. Vairagya è una condizione per cui non si ha più bisogno di niente, non si hanno più desideri. Ciò significa che non solo si è soddisfatti, ma si è bastanti per se stessi.
Per bastare a se stessi, a dire il vero, non è necessario arrivare alla condizione di vairagya. Si può pensare a una condizione in cui si coltivano desideri e aspirazioni e si fa affidamento in primis su se stessi e sulla propria capacità di realizzare quei desideri e quelle aspirazioni. Se lo guardiamo da questo punto di vista, asteya diventa un principio di rafforzamento interiore, per il quale, nella strada verso il distacco, si impara a contare su di sé, ad accrescere la fiducia in se stessi.
«Rubare o voler rubare esprime mancanza di fiducia in se stessi: la propria capacità di imparare e creare proprietà» [1].
Rubare è una forma di avidità e l’avidità nasconde in fondo una paura, una insicurezza. Dunque se rubare è una forma di paura e insicurezza, allora conquistare asteya significa conquistare sicurezza e fiducia.
La sicurezza è effetto proprio di quel contare su se stessi, sulla capacità di realizzare le proprie aspirazioni, i propri desideri e, a livello basilare, di provvedere da sé al proprio benessere e al proprio sostentamento. Sarebbe illusorio pensare di poter fare tutto e sempre da soli, serve a volte anche un tocco di fortuna e serve l’aiuto altrui e qui interviene allora la fiducia: non avere paura significa avere fiducia nella vita e nelle persone. Non si tratta di mero ottimismo, che certo è importante, ma dell’idea che se ci impegniamo, se lavoriamo al meglio delle nostre capacità, le persone riporranno in noi la stessa fiducia che noi riponiamo in loro e il resto potrà aggiustarsi di conseguenza.
Se invece non credo in me stesso/me stessa e non credo nelle persone, ecco che per sopravvivere o per realizzare ciò che desidero cercherò un modo per sottrarre ad altri ciò che io in altro modo non potrei conquistare.
«Rubare la proprietà di un altro significa anche rubare dalla propria potenziale capacità di sviluppo» [2].
Non si tratta quindi solo di fare “violenza e di danno a un’altra persona” [3] come sosteneva il Mahatma Gandhi, ma anche di danneggiare se stessi. Nel rubare si perde sempre qualcosa di sé: del proprio valore, della propria sicurezza, della propria autostima, della propria fiducia e serenità.
L’esito apparentemente paradossale dell’applicazione di asteya, un’applicazione che, ricordo, deve essere sopratutto interiore, ovvero la convinzione interiore di riuscire a procurarsi da sé ciò di cui si ha bisogno, ebbene l’esito è un’inaspettata ricchezza.
«Quando si è fermamente stabiliti nell’onestà, ogni specie di gemma si presenta (allo yogin)» [4].
Che l’affermazione di Patanjali sia simbolica o pragmatica, ha poca importanza. Il punto è che chi si accontenta di ciò che ha, chi sa di poter contare sulla propria capacità di generare ricchezza, si ritrova immediatamente più ricco. Questo perché da una parte i suoi bisogni diminuiscono e quindi la sua serenità aumenta; dall’altra perché capisce che la ricchezza è dentro di sé, è in quella sua stessa capacità di generarla. Inoltre, come scritto sopra, la fiducia che ripone in se stesso e negli altri verrà rispecchiata nella fiducia che gli altri ripongono in lui e questo porterà più facilmente gli altri ad aiutarlo o a lavorare con lui. Finché uno ha se stesso, non può perdere niente. L’importante è non perdersi!

_____________________
La lezione pratica di hatha-yoga “La propria potenziale capacità di sviluppo”, in diretto rapporto con questo articolo, è un’analisi del proprio livello di sicurezza di sé.
Abbonati a Patreon per provarla e vivere con il corpo il contenuto di questo articolo!
_____________________
- https://en.wikipedia.org/wiki/Achourya
- Ibidem.
- Ibidem.
- Yoga-sūtra, 2.37, versione curata da I.K. Taimni, La scienza dello Yoga, ed. Astrolabio.