Il pettegolezzo è una forma di socialità, ma è anche una forma di controllo e persino di autostima. Il problema del pettegolezzo è che, nonostante la sua funzione sociale, normalmente genera conflitto invece che armonia e unione. Per questo il pettegolezzo (prajalpa) ricade sotto gli ostacoli alla realizzazione yoga.
«Il pettegolezzo è diffuso in molte culture e comunità, anche le più isolate (beduini, nativi americani…), e costituisce una delle principali forme con cui si esercita la sanzione da parte dell’opinione pubblica. Viene utilizzata anche per rimarcare i confini del gruppo, dato che comporta una conoscenza esclusiva e approfondita della comunità stessa» [1].
I confini sono un elemento determinante del pettegolezzo.
Quando si parla di una persona, generalmente si parla di una persona “altra”, altra rispetto al gruppo, oppure rispetto ai valori condivisi o all’osservanza di tali valori. Nel momento in cui si attua, il pettegolezzo mette le distanze tra chi parla e l’oggetto-soggetto della conversazione. Queste distanze sono sancite da confini appunto: da un lato della barricata ci sono coloro che parlano/giudicano, dall’altra chi viene giudicato. Mantenere definiti i confini serve a creare un senso di sicurezza: dentro il confine ci sono le persone che si sentono affini, fuori dal confine tutte le altre.
«Lo scambio d’informazioni e giudizi informali all’interno di un gruppo sociale sui comportamenti dei membri del gruppo stesso viene spesso considerato una forma di controllo sociale» [2].
È sufficiente osservare una persona ansiosa per rendersi conto che il bisogno di sicurezza si accompagna al controllo.
L’idea di esercitare un controllo sulle circostanze, sull’ambiente, sulle persone dà l’illusione di cacciare da sé ogni forma di pericolo. Purtroppo però non si tratta di una relazione proporzionale: più aumenta il controllo, più l’individuo avverte insicurezza. Questo avviene naturalmente anche su larga scala, a livello sociale. Continuare a innalzare muri, barricate, chiudere confini e cancelli non fa altro che aumentare l’insicurezza collettiva, che a sua volta alimenta il senso di estraneità rispetto a ciò che è fuori dal proprio gruppo e di conseguenza il giudizio negativo, che si lega al pettegolezzo, verso tutto ciò o tutti coloro che sono percepiti come “altro”.
Il pettegolezzo è quasi per definizione associato al giudizio e in genere è appunto un giudizio negativo. Il giudizio viene esplicato, però, non solo per il controllo sulla diversità, ma anche per un bisogno di affermazione dei propri valori. In sostanza se concordo con un altro individuo della mia comunità riguardo al bollare negativamente qualcun altro, automaticamente avrò la conferma che i valori su cui si basa la mia sicurezza sono corretti. In questo modo avrò anche la conferma che “io sono corretto”, “io sono dalla parte del giusto”. Questo aumenta notevolmente l’autostima.
Spesso le persone che spettegolano di più si sentono meno realizzate a livello personale e hanno bisogno di “abbassare” gli altri per “innalzare” se stesse.
Lo stesso fenomeno avviene a livello collettivo, a livello sociale. La parola in questo senso ha un potere devastante: con le parole si può gettare un’ombra di dubbio riguardo agli altri, farli percepire come “negativi”, “non buoni”, “non dalla parte del giusto”. Una volta insinuato, il dubbio è difficile da eradicare.
«Per creare un’impressione negativa non è necessario che certe cose siano vere, ma che siano state dette» [3].
Lo yogin lavora sulla consapevolezza ed è consapevole anche delle parole che pensa e che utilizza. Prajalpa, una chiacchiera eccessiva, in più, inutile, può essere dannosa per gli altri e per le comunità. Un danno comunitario finisce per essere prima o dopo anche un danno personale. Non ci può essere serenità, dove non si crea armonia.

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La lezione pratica di hatha-yoga “Pettegolezzo”, in diretto rapporto con questo articolo, è una riflessione sul nostro rapporto col pettegolezzo.
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- https://it.wikipedia.org/wiki/Pettegolezzo.
- Ibidem
- William Hazlitt, Characteristics : in the manner of Rochefoucault’s maxims, 1823.